Studi di settore, al fisco l’onere della prova

Gli studi di settore perdono, finalmente, la loro natura vessatoria e rimangono come uno strumento di controllo delle evasioni fiscali, più consono alla civiltà tributaria. Ciò deriva da una sentenza della Corte di cassazione che stabilisce che gli studi di settore non possono prevalere automaticamente su una dichiarazione dei redditi di imprese del contribuente, che comporta un’imposta minore. È il fisco che deve motivare la ragione per cui ritiene che debba prevalere lo studio di settore sull’imponibile e sull’imposta dichiarate dal contribuente. L'onere della prova è del fisco, non del contribuente. Sin che il fisco non ha dimostrato che la dichiarazione del contribuente non è attendibile, non può applicare lo studio di settore.
La sentenza della Cassazione è aderente al principio di capacità contributiva individuale stabilito dall’articolo 53 della Costituzione e a quello dell’articolo 3 per cui tutti vanno trattati egualmente. Infatti, gli studi di settore, per ogni settore o sotto-settore di attività economica, stabiliscono dei valori medi di costi e ricavi, in base alle diverse caratteristiche dei contribuenti, imprese o persone fisiche, da essi considerati. I singoli possono avere costi e ricavi inferiori o superiori a tale media. E poiché la capacità contributiva è individuale non vanno tassati sulla media della loro categoria, ma sulla loro capacità contributiva effettiva. Inoltre, se fossero tassati sulla media anziché sulla capacità contributiva effettiva, si violerebbe il criterio di eguaglianza: i contribuenti con reddito superiore alla media avrebbero uno sconto, quelli sotto la media un aggravio di imposta. Ed è quello che spesso è accaduto, dando luogo a giustificate proteste e a molte controversie presso le commissioni tributarie e gli organi giudiziari.
Spesso, in particolare nelle tassazioni in base a bilancio, a cui sono tenute le società per azioni e le srl si sono verificate situazioni paradossali. Il contribuente esibisce una dichiarazione tributaria basata sul suo bilancio. Il fisco gli dice: poiché lo studio di settore dà un risultato più alto, la tua dichiarazione non vale, prevale lo studio di settore, salvo che tu dimostri il contrario, ma non puoi farlo riferendoti al bilancio, deve addurre altri elementi. Ora che cosa può dimostrare il contribuente, in aggiunta a esibire i libri contabili, i registri Iva e tutti gli altri documenti, su cui si basa il suo bilancio? E come si fa a dire che il riferimento al bilancio non vale, se per il diritto commerciale i suoi dati sono veri?
Ma allora gli studi di settore vanno buttati a mare? No. Essi servono ancora. E il loro impiego può essere più efficiente ed equo. Infatti essi saranno impiegati dal fisco per stabilire dove indirizzare i controlli. Le dichiarazioni tributarie difformi dagli studi di settore potranno essere oggetto di attenzione particolare. Ma ciò non sempre. Infatti può darsi che un contribuente di un Paese sperduto abbia dichiarato un imponibile inferiore allo studio di settore. Il fisco può evitare di controllarlo, dato che lo studio di settore dà dati medi e sarà arduo dimostrare che la media vale in quel paesello. Poi ci sono contribuenti che hanno evaso l’Iva. È logico che possano essere controllati anche se le loro dichiarazioni collimano con lo studio di settore.
Sin qui la scelta dei contribuenti da verificare. Poi il fisco svolge l'accertamento ed esamina la dichiarazione del contribuente, controlla il suo magazzino, per riscontrare se i dati dichiarati collimano, controlla le fatture Iva per vedere se ci sono fatture fasulle di acquisto, analizza le spese per vedere se ci sono detrazioni non documentate o non pertinenti, contraddizioni e così via. Se non può procedere a rettifiche particolari, dichiara inattendibile la dichiarazione analitica e applica l'accertamento con lo studio di settore, uno strumento oggettivo, ancorché medio, non una stima induttiva a fantasia, suscettibile di tira e molla e di strizzate d'occhio.

L’applicazione automatica degli studi di settore ha spinto all'evasione dall’Iva, in quanto conveniva sottovalutare gli acquisti, per evitare di incappare in volumi di attività e quindi di ricavi calcolati dallo studio di settore con una percentuale di maggiorazione rispetto ai costi. Ora i registri Iva e in genere la contabilità diventano fiscalmente più importanti, a difesa del contribuente corretto. Ma rimane la questione delle aliquote troppo alte, in particolare per il gravame Irap.

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