Sul Libano battaglia anche all’Onu: Mosca non vuole la Corte per Hariri

Mentre a Nahr el Bared si rischia il collasso umanitario. Usa, Parigi e Londra presentano una mozione che aggira le resistenze dei filosiriani

Sul Libano battaglia anche all’Onu: Mosca non vuole la Corte per Hariri

A Nahr el Bared si combatte a colpi di cannone e kalashnikov. Al Palazzo di Vetro di New York a colpi di voti e mozioni. Ma la battaglia forse è la stessa e punta a permettere o a impedire la costituzione di una Corte internazionale per giudicare quei responsabili dell’omicidio Hariri che una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite identifica con i vertici del regime siriano. A Nahr el Bared combattono i militanti di Fatah Islam, l’organizzazione qaidista considerata dal governo libanese una creazione dell’intelligence siriana incaricata di destabilizzare il Paese e rimandare sine die il voto del Parlamento sulla Corte internazionale.
Al Consiglio di Sicurezza si fronteggiano il blocco occidentale alleato del premier libanese Fouad Siniora e la Russia vicina al regime di Damasco. Al Consiglio di Sicurezza i giochi sono tutt’altro che fatti. Venerdì Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno presentato la bozza di mozione che chiede la costituzione di una Corte internazionale anche in assenza di una ratifica dei deputati libanesi. La bozza punta ad aggirare l’ostruzionismo di Nabih Berri, il presidente del Parlamento sciita e filosiriano che rifiuta la convocazione dell’Assemblea e il voto di convalida al decreto del governo sostenendo di non voler mettere a rischio la stabilità del Paese.
Il tentativo di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia deve fronteggiare i cavilli della Russia decisa, se necessario, a usufruire del diritto di veto per soccorrere il regime di Damasco e far valere la propria influenza sullo scenario mediorientale. L’ambasciatore russo Vitaly Churkin, maestro di tattiche dilatorie, punta il dito sui riferimenti al Capitolo 7 della Carta dell’Onu che rende inderogabile l’applicazione della mozione e prevede, se necessario, l’uso di misure coattive. Ma l’ambasciatore americano Zalmay Khalilzad e quello francese Jean Marc de la Sablière non mollano e chiedono il voto per la prossima settimana. «Le Nazioni Unite hanno già definito l’assassinio Hariri una minaccia alla pace e alla sicurezza e dunque il ricorso al capitolo 7 è inevitabile» ricorda Khalilzad. «Non possiamo – dice Sablière - farci intimidire da quanto succede in Libano».
Intanto Hasan Nasrallah, il capo di Hezbollah combattuto tra l’impossibilità di sostenere il tanto criticato governo Siniora e quella di appoggiare una formazione del radicalismo sunnita detestata dai libanesi sciiti, s’aggrappa alla scusa degli aiuti militari americani al governo e intima all’esercito di non combattere al fianco degli Stati Uniti. «Il problema - sostiene il capo di Hezbollah - può venir risolto politicamente senza trasformare il Libano in un campo di battaglia dove il nostro esercito combatte Al Qaida per conto dell’America».
A Nahr el Bared, però, si rischia il collasso umanitario. I diecimila profughi palestinesi intrappolati nel campo assediato e trasformati in scudi umani dai miliziani di Fatah Islam sono a corto di viveri, acqua e medicinali.

E chi tenta la fuga deve fare i conti con i cecchini qaidisti pronti ad aprire il fuoco sui civili pur di non rinunciare alla copertura di quei diecimila disperati, ultima garanzia di fronte a un possibile imminente assalto dell’esercito libanese.

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