Sul testo del geografo una polemica lunga 20 anni

Un paio di righe. È quanto i manuali di letteratura greca dedicano ad Artemidoro di Efeso, un viaggiatore-geografo, che verso il 100 a.C. descrisse i continenti in un Periplo, oggi perduto. Ne sappiamo qualcosa perché altri saggisti saccheggiarono la sua fatica. Marciano di Eraclea, sei secoli dopo, ne usava ancora parole e dati: per esempio le distanze misurate non in giorni di cammino, ma con il più preciso stadio (180 m circa).
Ma i riflettori si accendono improvvisamente su Artemidoro nel 1998, perché Gallazzi e Kramer, papirologi, presentano su Archiv, prestigiosa rivista tedesca del settore, un rotolo (2,50 m per 32,5 cm) che, secondo loro, contiene l'inizio originale del II libro, 5 colonne di testo, con una carta geografica e disegni aggiunti. Nel 2004, la Fondazione per l'Arte della Compagnia di San Paolo acquista il manufatto. Gallazzi e Salvatore Settis, ne curano una mostra, intitolata Le tre vite del papiro di Artemidoro. Curiosità e misteri non mancano ma, secondo i curatori, un fatto è assodato: la farina testuale è tutta del sacco dell'antico periegeta. «Tre vite», perché il grafico incaricato di illustrare l'edizione di lusso con la carta geografica fece un pastrocchio: inserì una mappa parziale, invece dell'intera Spagna. Troppo costoso, il papiro, per finire al macero. Fu riutilizzato altre due volte: da decoratori che ne usarono il verso per schizzi degli animali, veri o fantastici, del loro catalogo; e da apprendisti d'arte che colmarono gli spazi vuoti con disegni anatomici.
Ma Luciano Canfora, non ci sta. Le prove al radiocarbonio, esibite dagli estimatori? Apprezzabili la chimica e la fisica, scienze «dure», matematiche, al servizio della filologia, dottrina «molle», umanistica. Ma intanto ci sono i margini d'errore. E poi gli analisti mettono il papiro nel I sec. a.C, data che con Artemidoro quadrerebbe anche. Già il papiro, ma non l'inchiostro. «Fatto all'antica», dicono Settis e Gallazzi. «Certo» ribatte Canfora «come qualunque falsario potrebbe fare leggendo le dritte di fabbricazione tramandate da Plinio e da Vitruvio». O, aggiungiamo noi, senza scomodare i classici, consultando la Garzantina dell'antichità classica che, alla voce scrittura, dà la ricetta dell'atramentum librarium (l'inchiostro della scriba, fuliggine, feccia, nero di seppia), con la variante indicum, carbone in polvere e gomma. Il testo è un marasma di banalità, rincara Canfora: c'è un preambolo in posizione assurda, all'attacco del II libro.

«Un proemio ritardato, come tanti altri» ribattono gli antagonisti. Insomma, colpi di fioretto tra eruditi, una polemica argomentata dal sapore d'altri tempi, una nota di cultura tra tanto becerume urlato, nel fracasso del nulla.

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