A suon di tormentoni irresistibili, riuscì a conquistare il successo. Uomo di mondo, amante dei viaggi, principe dei caratteristi italiani: tutto questo era Guido Nicheli, alias Dogui. Guido Nicheli ovvero il comprimario di lusso, intrappolato nel ruolo dell'industriale meneghino pieno di sicumera, capace di tirar fuori battute talmente efficaci da risultare impossibile replicargli a tono. Col cinema ebbe fortuna, mai al punto da ritagliarsi parti principali. Ci ha pensato Sandro Paté a dedicargli, a dieci anni dalla scomparsa avvenuta il 28 ottobre 2007, un libro dal titolo See you later. Guido Nicheli, una vita da cumenda (Ed. Sagoma, pagg. 256, euro 17) del quale è protagonista assoluto, attraverso i racconti di chi lo ha frequentato dentro e fuori dal set.
Come sottolinea Gianni Canova nella nota critica, il metodo usato da Paté richiama Quarto potere, il capolavoro di Orson Welles dove un reporter indaga la personalità del magnate Charles Kane interpellando le sue conoscenze. Fortunatamente l'esistenza del Dogui non ha mai neppure lambito la tragicità del personaggio wellesiano, eppure dietro la maschera perennemente brillante qualche attimo di malinconia lo si poteva rinvenire. Era pur sempre un signore che proveniva dalla povertà. In più aveva perduto il papà da piccolo, e l'assenza di un padre contribuì a fargli maturare l'idea che nella vita bisogna farsi da sé, sviluppando una forte indipendenza. Quindi tutt'altro che una persona superficiale, anche se poteva sembrare così vedendolo nei film, o nelle serate in Costa Smeralda dove a un certo punto appariva sul palco, dispensando pillole di «doguismo» agli astanti.
«Le sue parole - rimarca l'amico Jerry Calà nella prefazione - erano espressione di un mondo interiore». Quel mondo interiore lo rivelava esclusivamente a chi gli stava davvero vicino. Certamente la sorella Adriana, a cui viene affidata la prima testimonianza, è in grado di decifrarlo. Adriana parte dalle origini, da quando suo fratello, come tutti i bimbi d'età fascista, aveva intrapreso il regolare percorso da Figlio della Lupa a Balilla, e infine Avanguardista. La voglia di libertà nasce dopo, ma troppa libertà portava dei rischi, dunque ci pensò la mamma a ficcargli in testa che se proprio non voleva studiare, bisognava si trovasse un lavoro serio. Di fronte all'aut aut scelse le serali, conseguendo il diploma da odontotecnico. La rivelazione più interessante di Adriana riguarda i diciotto diari scritti da Nicheli dal '79 in avanti. Se nei diari emergevano i pensieri reconditi, nell'agenda con gli indirizzi dei locali che lui riforniva di alcolici c'è un pezzo della Milano storica, quella Milano che ha forgiato il suo carattere.
Fra i tanti mestieri da lui intrapresi il più redditizio, che gli consentiva oltretutto di portare avanti il suo stile di vita da bon vivant, era il piazzatore di superalcolici nei bar e nei luoghi di ritrovo notturni. Quei posti, tipo il mitico Bar Gattullo e l'altrettanto mitico Derby, erano la «palestra» dove cominciava a venir fuori il talento istrionico. Erano locali in cui nascevano amicizie vere, a esempio con Massimo Boldi e Mauro Di Francesco, chiamati in causa per fornire i propri ricordi nel volume. Fra loro parlavano il «goger», gergo tutto loro che successivamente, trasferito al cinema, divenne patrimonio nazionale. I primi ad accorgersi che quella parlata aveva potenzialità cinematografiche furono i fratelli Vanzina, che di fatto «scoprirono» Nicheli coinvolgendolo in molte pellicole, tra cui Sapore di mare e Vacanze di Natale.
Non importava che fosse un attore mediocre perché in realtà, lo affermano i «Brothers» nell'intervista concessa a Paté, la bravura di Nicheli consisteva nell'essere se stesso, senza bisogno di studiare il copione. Copione che oltretutto, da interprete improvvisato quale era, non era in grado di memorizzare. Lo ricordano bene i protagonisti di I ragazzi della terza C, serie tivù attraverso cui Nicheli, nei panni dell'imprenditore Zampetti, ebbe la definitiva consacrazione.
Le testimonianze si rincorrono pagina dopo pagina, da Fausto Leali che riceveva dal Dogui novità musicali scoperte durante le trasferte in Africa, sino a Umberto Smaila, che passava le notti insieme a Guido definendo lui e il suo compare due «vampiri alla buona».
La storia giunge al suo epilogo nel 2007, e fu una botta improvvisa per chi aveva voluto bene a questo «miliardario senza portafogli» che pure nella vita reale, dalle serate giovanili in compagnia di Salvador Dalí fino all'anzianità nel buen retiro di Zelata, nel Pavese, si divertiva a recitare la parte del riccone strafottente. Il pubblico, giudice supremo, aveva capito che lo faceva per gioco, e stava al gioco. Premiandolo con un affetto che, a distanza di un decennio dalla dipartita, rimane tuttora invariato.
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