Tagli delle poltrone, anche Calderoli beffato dalla casta

Il ministro, come tutti i suoi predecessori, ha ceduto al pressing degli amministratori locali: fermata la scure. A marzo si vota per le Regionali: non era il momento per inimicarsi le periferie

Tagli delle poltrone, 
anche Calderoli 
beffato dalla casta

Altro che Schubert. Per i conati d’austerità cui infallibilmente si dedicano i governi italiani, le incompiute sono la regola. C’è tanta buona volontà d’affondare il machete nella selva selvaggia degli sprechi, gli incitamenti all’implacabilità risanatrice si sprecano, ma ad un certo punto una magia perversa blocca il braccio di chi si appresta ad agire, anche se ha le sembianze grintose del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Si ha sempre l’impressione che manchi un niente per portare a termine l’opera. Ma poi ci si mette di traverso il destino cinico e baro, e l’opera resta lì come certi viadotti ripresi da Striscia la notizia. Per pudore - anche i ministri hanno un cuore - non si dice mai, con plateale e leale franchezza, che la riforma tale o la riforma talaltra è stata cancellata o accantonata a tempo indeterminato. Questi termini brutali sono sostituiti da altri meno scioccanti: slittamento, rinvio, pausa di riflessione, in attesa del classico «tavolo» dove «le parti» siederanno più volte pensose per trovare un accordo.
Tra tanta melina sui sommi principi, avevamo esultato per l’annuncio d’un taglio vigoroso di poltrone delle istituzioni locali. Se ben ricordo la mannaia si sarebbe dovuta abbattere su cinquantamila posti. Era infatti prevista la riduzione del 20 per cento dei consiglieri e si era fissato un tetto per gli assessori comunali e provinciali. Non potevano essere più d’un quarto o d’un quinto - rispettivamente - dei consiglieri. Era inoltre prevista una falcidie di direttori generali e difensori civici.
I sindaci avevano opposto proteste vivaci all’ukase, tirando in ballo anche paroloni come la democrazia e la rappresentatività popolare. Non voglio criticare questa sollevazione, che magari aveva motivazioni meno nobili di quelle enunciate, ma che poggiava sotto sotto su un ragionamento ineccepibile. Perché mai i deputati e i senatori avevano trovato l’energia necessaria per sloggiare i poveracci degli sgabelli politici, e non trovavano mai un briciolo di slancio e di dignità per calmierare, a titolo d’esempio, i loro emolumenti, i loro privilegi, il loro numero esorbitante?
Tuttavia il cittadino s’era sentito rassicurato dalla promessa del rigore. Pareva un buon inizio. Invece niente. L’avvio è diventato un rinvio. Lo ha spiegato su Italia Oggi, in un servizio molto tecnico, Francesco Cerisano. La macellazione verrà, assicurano i semplificatori. Non però adesso ma tra un anno.
Perché mai si è soprasseduto? La risposta mi pare semplice. Si è soprasseduto perché nel prossimo marzo si svolgeranno le elezioni amministrative, e non è il caso di indurre all’agitazione, allo scontento, o addirittura alla ribellione, il personale delle periferie di partito. Se la cura dimagrante pare troppo dolorosa, la si rimanda al futuro. Non scatteranno risparmi pubblici sui quali gli italiani più informati facevano assegnamento, ma per le indennità degli eletti i quattrini si trovano sempre, al massimo sarà necessario lesinare sul carburante per le macchine della polizia.
Le mie sono supposizioni d’una mente maligna? I chirurghi sono pronti, con il bisturi in mano? Beh, non proprio pronti.

Possono riposare un anno, così come si sono riposati in previsione d’altri disboscamenti. Che con il tempo diventano prudenti potature. L’insofferenza degli italiani è meno temibile di quanto sia la collera delle poltrone.

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