Taranto, un ballottaggio tutto a sinistra

Sicuro al ballottaggio Stefàno (sinistra radicale). Si contendono il secondo posto Cito jr (Lega d'azione) e Florido (Partito democratico). A Lecce successo netto per Paolo Perrone della Cdl, che sconfigge il rappresentante dell'Unione Antonio Rotundo

Taranto, un ballottaggio tutto a sinistra

Taranto - La Casa delle libertà fa il pieno di voti e si aggiudica il sindaco al primo turno a Lecce; la sinistra radicale scavalca i moderati del costituendo Partito democratico e con Ippazio Stefàno approda in testa al ballottaggio a Taranto dove è serrata la lotta per il secondo posto. Se lo contendono Mario Cito (Lega d’Azione meridionale) e Giovanni Florido (Pd) divise da pochi voti nella notte. Cito jr è figlio dell’ex sindaco ed ex deputato Giancarlo, noto come «il telepredicatore» e fondatore del movimento At6 Lega d’Azione Meridionale.

Ma se in riva allo Ionio le urne hanno riservato grande equilibrio, così non è stato nel Salento. A Lecce il vicesindaco di Forza Italia Paolo Perrone, imprenditore sostenuto dalla Cdl, si è aggiudicato la poltrona di sindaco al primo turno conquistando il 55,5% dei consensi. Un risultato netto, senza appello, frutto della coesione dello schieramento e soprattutto dell’eredità lasciata dal primo cittadino uscente, Adriana Poli Bortone, di Alleanza Nazionale, che cinque anni fa ottenne il suo secondo mandato imponendosi nella prima tornata con un autentico plebiscito che le valse il 68,2% dei voti.

Nel capoluogo salentino l’Unione ha messo in campo Antonio Rotundo, uscito vincitore dalle primarie, il quale si è fermato al 37,4. Un risultato comunque più o meno annunciato, vista la grande popolarità della Poli Bortone.

Il vero e proprio terremoto elettorale pugliese è arrivato invece da Taranto: qui, in questa città commissariata da un anno e mezzo su cui pesa l’ombra di circa settecento milioni di euro di debiti per il dissesto finanziario del Comune, si sono presentati in dieci per la poltrona di sindaco. Per non parlare degli aspiranti consiglieri comunali: 1.118 per quaranta seggi in palio sparpagliati qua e là tra ventinove liste. Insomma, uno scenario a dir poco confuso.

Alla fine, il risultato migliore lo ha conquistato Ippazio (detto Ezio) Stefano, pediatra sostenuto da Rifondazione comunista, Pdci e altre formazioni, attorno al quale è confluita la sinistra radicale: per lui il 37% delle preferenze. Ha distanziato nettamente Giovanni Florido, riformista diessino, attuale presidente della Provincia, sostenuto dalle formazioni del Partito democratico, il quale ha ottenuto il 19,4%.

Ma il vero exploit delle urne tarantine è stato quello di Mario Cito. Il padre, Giancarlo, non potendo correre in prima persona per la poltrona di sindaco dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa finita di scontare poco tempo fa, non ha comunque rinunciato a mettere in campo il suo movimento politico e ha incoronato il figlio come candidato. E a tarda sera, con il 19.8 Mario Cito era ancora in corsa per il ballottaggio. Più indietro, invece, l’ex questore Eugenio Introcaso, candidato per la Casa delle libertà, che non è andato oltre il 17.

Quello di Taranto è un caso particolare anche perché qui s’è consumata una sfida tutta interna alla sinistra, avvenuta per giunta in una regione che l’Unione da sempre considera un vero e proprio laboratorio politico. E così ai nastri di partenza si sono ritrovati da una parte Stefano per l’ala radicale, dall’altra il riformista Florido. Un po’ quanto accaduto per le regionali del 2005, quando l’ex deputato di Rifondazione comunista, Nichi Vendola, riuscì a superare di misura il governatore uscente di Forza Italia, Raffaele Fitto, dopo essersi aggiudicato le primarie contro il prodiano Francesco Boccia.

E la storia, in termini di equilibri nell’Unione, si è ripetuta, con la secca sconfitta dei riformisti.

Adesso, nelle analisi post-voto, per il centrosinistra rimane il grande rimpianto delle primarie: «Se le avessimo fatte avremmo evitato divisioni», è il ritornello scandito da queste parti. Fatto sta che le divisioni ci sono state.

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