Teatro Parioli per le grandi emozioni. Dal 15 al 26 febbraio sarà in scena “Quasi amici”, tratto dal celebre film di Eric Toledano e Olivier Nakache: una storia importante, di quelle che meritano di essere condivise e raccontate. Al fianco di Paolo Ruffini ci sarà Massimo Ghini, entusiasta all’idea di affrontare la sfida presentata dallo spettacolo adattato e diretto da Alberto Ferrari: “L’intelligenza degli autori è stata quella di affrontare argomenti delicati attraverso l’incontro tra un tetraplegico e un maghrebino maleducato e ignorante. Sì, perché nella realtà è maghrebino e non di colore. E infatti ci hanno chiesto, pensando al film: ‘Perché non avete preso un attore nero?’. I francesi avevano tradito la storia, il protagonista in realtà è maghrebino. Due mondi, due classi sociali che si incontrano e si scambiano. E uno cambia la vita all’altro, bellissimo”.
Una storia amata e toccante, come nasce questa avventura?
“Io sono arrivato strada facendo. Sono stato chiamato per prendere parte al progetto in un momento ricco di impegni tra film e serie. Sono sempre stato molto istintivo e ho capito che questa era una produzione interessante. Mi piaceva l’idea di confrontarmi con un personaggio tetraplegico, una bella sfida per un attore molto fisico come me. Credo che in questo momento ci sia una crisi di valori in senso generale, che porta il teatro ad essere tradito. Io sono cresciuto con i grandi classici, ma mi sembra che da alcuni anni a questa parte tutto si sia ridotto. In questo caso qui, l’essenza del racconto di ‘Quasi amici’ è molto teatrale: basti pensare che il film è tratto da un libro. La struttura dello spettacolo non è stata violentata, arrivando da una drammaturgia letteraria. Non si tratta solo di un’operazione di ‘business’, ma c’è l’idea di raccontare un argomento delicato attraverso il politicamente scorretto”.
Altro tema particolarmente delicato…
“Io penso che politicamente corretti lo erano i giornalisti durante la dittatura del fascismo. Noi dobbiamo essere intelligentemente scorretti, mettendo in discussione determinate cose. Altrimenti non si potrebbero più fare i film di Lina Wertmuller, con Giannini che dà della ‘bottana industriale’ alla Melato. La società moderna semplifica un po’ tutto per non affrontare i temi. Come i termini ‘nero’ e ‘negro’: se dico ‘negro’ non sono razzista, non lo sono mai stato e sono sempre sceso in piazza per i diritti. Ma oggi dovremmo ridoppiare tutti i film, da ‘Via col vento’ in poi. In ‘Quasi amici’ c’è questa componente divertente che si unisce a una componente molto commovente: il pubblico esce dal teatro ridendo e piangendo. Mi piacerebbe se tutti ritornassimo ad avere forza, coraggio e soprattutto denaro per poter fare anche un po’ di scuola ai più giovani”.
L’esempio dei film di Lina Wertmuller è particolarmente calzante…
“Io mi sono sempre esposto, ho avuto responsabilità anche politiche pur continuando a fare il mio mestiere. E non sono mai stato ipocrita. Ho paura che la politica di oggi – da destra a sinistra – sia un po’ ipocrita e l’ipocrisia nasce dall’impreparazione. E’ giusto affrontare temi di etica e di morale, ma faccio un esempio: c’è chi reclama il ‘controllore’(l’Intimacy Coordinator, una sorta di ‘arbitro’, ndr) per le scene di sesso sul set. Ma stiamo sfiorando il ridicolo per una problematica che esiste, è vera! Io sono stato amante, marito, tombeur de femme di mezzo cinema italiano per i ruoli che facevo e c’è sempre stata la questione etica-morale. Ma da qui a chiedere che ci siano controlli sul set mi sembra una follia. Ma nemmeno nei film di Natale… Io sono padre di quattro figli, di cui due femmine: non posso non pretendere il rispetto nei confronti delle donne. Ma non dobbiamo sfiorare il ridicolo”.
Lei è uno dei volti più amati del cinepanettone. Ma oggi molti di quei film non si potrebbero più fare…
“Che tristezza, eh? Io ho 110 film sulle mie spalle, ne ho viste di tutti i colori, ho lavorato con registi internazionale, passando dalla farsa alla tragedia. Quello che mi fa impazzire è che vengo fermato per strada continuamente da ragazzi che ricordano le battute a memoria. Non abbiamo fatto del male a nessuno! Penso ad Alberto Sordi, che ha rappresentato il peggio della società nella quale viveva. Ricordo quando ho fatto ‘Il vizietto’ a teatro con Cesare Bocci: quel testo ha avuto più valore di un convegno sull’omosessualità e sull’omofobia”.
Tanta gavetta, grande versatilità, grande carriera. È soddisfatto di quanto raccolto? O ha qualche rimpianto?
“Se ero un pochettino più furbo, a Roma direbbero paraculo, non avrei accettato di imboccare la strada che ho accettato. Me la sono resa difficile, ma non mi lamento: sono conosciuto, popolare, molto amato. Ho scelto la strada più difficile perché in Italia c’è l’idea del posto fisso, del padroncino… Io mi sono guadagnato l’indignazione di molti perché quello che ho sempre amato del mestiere è la capacità mimetica di trasformazione. E sono passato da Shakespeare ai film di Natale, non mi sono mai voluto far classificare in una certa maniera. Io non ho mai vinto un David di Donatello, una volta ci stavo male ma oggi non mi interessa: se me lo danno lo uso per fermare la porta (ride, ndr). Ciò che mi continua a dare la soddisfazione è il pubblico, l’affetto e la stima delle persone non hanno eguali”.
Quali sono i suoi prossimi impegni?
“Ho appena finito di girare molte cose. C’è ‘Gioia’ di Fausto Brizzi, dove torno al fianco di Sabrina Ferilli: un’altra operazione molto provocatoria, mi è piaciuta tantissimo.
Poi, dopo la tournèe, ho le riprese di un altro film e della nuova stagione della serie ‘Studio Battaglia’. E stanno ultimando le sceneggiature del sequel de ‘I cassamortari’ di Claudio Amendola, che ha avuto un grande successo su piattaforma”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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