Paolo Ruffini a tutto tondo: "Oggi siamo in una fasciodemocrazia"

Tra politicamente corretto e la difficoltà delle sale, Paolo Ruffini a tutto tondo ai nostri microfoni: "Il vero bullismo è sui social"

Paolo Ruffini a tutto tondo: "Oggi siamo in una fasciodemocrazia"

"È un film che sento addosso, in cui credo fortemente, e che considero urgente. Un film che ha voglia di sorridere con speranza, con l’augurio di sentirsi davvero migliori e di farcela": Paolo Ruffini è orgoglioso del suo "Ragazzaccio", nelle sale da giovedì con Adler Entertainment. Da lui scritto e diretto, il film racconta la storia di un adolescente insofferente alle regole, un bullo ingabbiato a causa del Covid-19. Ma anche la storia di migliaia di ragazzi, che si sono trovati ad affrontare il momento storico più difficile della loro generazione: la prima ondata di una pandemia mondiale, che ha lasciato una risacca invisibile ma lacerante: quella della fragilità emotiva, della solitudine, del disagio sociale, dell’iper-connessione tecnologica, i cui risvolti reali stiamo scoprendo solo recentemente, a molti mesi di distanza. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con l'artista livornese.

"Ragazzaccio" accende i riflettori sul forte disagio degli adolescenti nel pieno della pandemia, un unicum nel cinema italiano...

"Mi sono chiesto anche io il perché. Quando l'ho fatto, ho pensato anche a quanti autori ne avrebbero parlato. Invece non ho capito perché non ne ha parlato nessuno. Francamente non so il perché. Penso che ci sia stato un problema di sottovalutazione. La mia punizione quando ero giovane era il 'non esci'. Ora i ragazzi hanno vissuto tre mesi di reclusione come tutti, ma per un adolescente la reclusione sociale penso sia un elemento ancora più grave. E questi ragazzi non meritavano neanche il senso di colpa legato alla malattia, con i possibili rischi del contagio ai genitori o ai nonni. Penso che sia stato un momento terrificante per tutti, ma in un'età formativa come quella adolescenziale è stata ancor più terrificante. E l'onda lunga dei danni psicologici non penso che sia stata calcolata bene. Per questo ho raccontato la storia di questo piccolo uomo, bullo, che pensa che il mondo faccia schifo. E per un momento lo abbiamo pensato tutti. Poi gli capita questa sfiga meravigliosa di innamorarsi nel periodo più sbagliato. E si racconta che la cosa più contagiosa al mondo è l'amore, non il Covid. E questa è una notizia che i telegiornali non danno".

Anche in "Ragazzaccio" troviamo uno dei temi a lei più cari, la celebrazione della bellezza della vita. Anche da questo punto di vista, non una consuetudine per il nostro cinema...

"Io non ho fatto un film per me. Anche perché il cinema italiano è già pieno di autori che fanno film per guardarli loro (ride, ndr). Ho fatto un film emozionante, ma sempre mettendo al centro il pubblico, che viene spesso dimenticato. Oggi si fanno i film per compiacere l'eco autorale o per il tax credit".

Paolo Ruffini e il cast di Ragazzaccio

"Ragazzaccio" restituisce il linguaggio autentico degli adolescenti, parolacce comprese. Nessun timore di quelli che si scandalizzano facilmente?

"Non mi sono posto assolutamente il problema. Un cinema politicamente corretto è un ossimoro. Anche qui sarò una mosca bianca, che ci posso fare... I ragazzi parlano così oggi. Se avessi fatto un film dove i ragazzi parlano come gli adulti pensano che i ragazzi parlino, sarebbe stato un film scollato e i 1500 studenti presenti all'anteprima non lo avrebbero seguito e capito. Mentre loro girano e pensano in verticale, con le storie di Instagram. Se nel 2022 ci sconvolgiamo ancora perché si ritiene scandaloso dire 'cazzo'...Mi viene in mente il monologo del colonnello Kurtz in 'Apocalypse Now': 'Addestriamo dei ragazzi a sganciare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non vogliono che scrivano cazzo sugli aerei perché è una parola oscena'".

Lei ha dovuto fare i conti con questo politicamente corretto?

"Io me ne sono fottuto, perché ho avuto la possibilità di farlo. Negli ultimi anni ho fatto lo spettacolo teatrale 'Up & Down' con persone scorrette geneticamente. Ho fatto un documentario sull'Alzheimer ('PerdutaMente' ndr), questo film e poi altre due commedie. Io ho cercato altre vie, ma non per scappare: volevo raccontare delle storie con il linguaggio giusto. Ma non ci sono dubbi che il politicamente corretto sia una tragedia per la satira e per la commedia. Oggi ciò che posso dire o non posso dire non lo decide un regnante, ma un oligarchia su Twitter. Se tal Cettina78 dice su Twitter che l'intervento di Paolo Ruffini è volgare, altre persone condividono e dicono che Ruffini è uno stronzo e un pezzo di merda. E noi andiamo dietro a Cettina78".

Effettivamente sembra funzionare così...

"Paradossalmente la censura è sempre stata uno strumendo anche di destra, ma ora è roba di radical chic che dicono 'certo, certo'. Ma gli artisti di sinistra che io conosco sono sempre stati scorretti. Oggi sarebbe stato possibile Pasolini? Sarebbe stata possibile la Wertmuller, con Giannini che dà della 'bottana industriale' alla Melato? E ancora, sarebbe stato possibile Benigni che tocca il pacco a Pippo Baudo? Lo ripeto: arte politicamente corretto è un ossimoro, come dire ghiaccio bollente. Penso al nostro bagaglio culturale, al nostro immaginario collettivo, anche televisivo. Ti immagini 'Drive In' oggi? A me manca la volgarità, ma c'è stato sempre un grande equivoco: la volgarità era fatta da persone colte. Per essere volgare devi avere una certa cultura. Shakespeare faceva cinepanettoni ai suoi tempi (ride, ndr). Noi abbiamo voluto sentirci un pochino più importanti dicendo che le parolacce non vanno bene, in favore di una morale bigotta che castra qualsiasi creatività".

Il suo pensiero è condiviso da molti altri artisti...

"Oggi c'è un problema reale di pubblico. Quello che posso dire o non dire non lo decide il pubblico. È come se ci fosse una fasciodemocrazia: è un fascismo democratico che si esprime sui social. Gli utenti pensano di avere tutti i diritti di censurare un artista in base al loro giustizialismo. Questo è il vero bullismo. Se io faccio lo sgambetto a uno, è uno sgambetto, è uno scherzo. Ma la gente arriva a chiedere la pena di morte. Come fai a gestire tutto ciò?".

Paolo Ruffini 2

Il suo "Ragazzaccio" è un film che si rivolge a tutti, ma le sale sono in palese difficoltà...

"Sì, si rivolge a tutti, studenti e professori, genitori e figli. E poi dire di aver fatto un film al giorno d'oggi è una lusinga. Perché il cinema è l'unica arte che ha anche un luogo. A differenza della musica, il cinema è un'arte che ha lo stesso nome di un posto e non può essere un caso. Il cinema non lo puoi tenere in mano grazie a uno smartphone. Io credo che il pubblico debba fare un po' fatica e pensare che non tutto possa arrivare a casa. Io ho fatto un film, non un contenuto. Io ho fatto un film che va visto in orizzontale, mentre i giovani oggi pensano in verticale: se li porti a vedere 'C'era una volta il West' non sanno dove guardare. Io spero che il pubblico dia fiducia non solo a me ma anche alla sala. Mi auguro che il pubblico possa fare un po' di fatica, anche se un po' lo capisco. Noi magari non abbiamo fatto film meravigliosi - perché ne sono stati prodotti tanti - e il biglietto costa tanto, me lo ha detto anche mia nipote (ride, ndr). Si potrebbe fare che 5 euro ce li mette lo Stato e 5 euro ce li mette il pubblico, può essere una buona idea".

Quali sono i suoi progetti futuri?

"Presto usciranno due film: 'Rido perchè ti amo', una commedia sentimentale dove sono regista,

sceneggiatore e attore, e 'Uomini da marciapiede', in qualità di attore e sceneggiatore. Entrambi usciranno nel 2023. E poi c'è un progetto molto bello per il teatro che è l'adattamento del film 'Quasi amici' con me e Massimo Ghini".

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