Facebook paga 37,5 milioni per la geolocalizzazione: "Ma siamo innocenti"

Pure negando di avere commesso irregolarità, Meta ha accettato di pagare 37,5 milioni per chiudere la class action intentata dagli utenti americani di Facebook

Facebook paga 37,5 milioni per la geolocalizzazione: "Ma siamo innocenti"

Meta ha raggiunto un accordo in relazione alla class action intentata dagli utenti americani contro Facebook a causa della (presunta) geolocalizzazione non autorizzata che avrebbe fatto a danno degli stessi. Professando la propria estraneità ai fatti, il gruppo diretto da Mark Zuckerberg ha comunque accettato di versare 37,5 milioni di dollari per chiudere il contenzioso.

La causa è stata intentata nel 2018 e l’accordo, pensato per soddisfare gli utenti che hanno fatto uso di Facebook a partire dal 2015, è stato depositato a San Francisco in attesa che un giudice lo approvi.

Cosa sostengono gli utenti americani

I promotori e i firmatari della class action sostengono che nel 2015 Facebook, oggi parte del gruppo Meta, avesse seguito gli spostamenti degli utenti americani anche contro la loro esplicita volontà. Nello specifico Facebook avrebbe monitorato la posizione dei dispositivi mobili sui quali erano disattivati i servizi di geolocalizzazione per inviare alle persone messaggi pubblicitari mirati, dando così continuità al proprio business principale senza rispettare le norme sulla privacy vigenti in California, laddove il gruppo ha sede.

Poiché Meta non ha ammesso le proprie responsabilità, il condizionale è d’obbligo nel raccontare questa vicenda. Ciò che però sappiamo è che non si tratta della prima class action intentata contro il colosso a causa delle violazioni della privacy. A febbraio del 2022, Meta ha staccato un assegno da 90 milioni di dollari per chiudere un contenzioso decennale secondo cui avrebbe monitorato la navigazione web degli utenti, anche se questi avevano chiuso le rispettive sessioni su Facebook, scollegandosi di fatto dai loro account.

Nel 2019 le cose sono andate diversamente e, in seguito alla violazione della privacy di 87 milioni di utenti, i cui dati sono stati utilizzati dalla società Cambridge Analytica, a Facebook è stata comminata un’ammenda da 5 miliardi di dollari.

Nel 2018 Facebook (il gruppo Meta sarebbe nato soltanto a ottobre del 2021) ha chiesto ad alcune banche i dati finanziari dei propri utenti per allestire strategie utili a fare crescere il proprio marketplace interno, quella sezione della piattaforma nella quale gli utenti possono acquistare e vendere prodotti e servizi.

Il punto di vista di Zuckerberg

Nel 2019, scrivendo al Washington Post, l’amministratore delegato di Facebook (e oggi di Meta), Mark Zuckerberg ha invocato una nuova politica sulla privacy, accettando di collaborare con i regolatori per trovare una misura che accontentasse tutti. Dopo essere approdata al Nasdaq nel 2012, Facebook si è imbattuta in molti problemi relativi alle norme sulla privacy.

Diventando sempre più colosso e operando in un numero corposo di mercati, ha dovuto adeguarsi alle norme internazionali, incluse quelle europee varate nel 2018, peraltro anno in cui Zuckerberg, convocato dal Congresso americano per riferire sui fatti di Cambridge Analytica, ha ammesso di dovere fare di più per proteggere la privacy degli utenti e la loro esposizione alle fake news e all’incitamento all’odio.

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