Delle spie digitali avanzate, sempre nella nostra tasca o nella nostra borsa. Informazioni digitali che rimangono registrate grazie al nostro telefono, al nostro smartphone. Informazioni che aziende, compagnie internet e governi provano ad utilizzare. "Il telefono è un rilevatore di posizione - commenta Fieke Jansen, della Ong Tactical Tech alla Stampa - Ci localizza con la triangolazione dei ripetitori mobili, la localizzazione Gps dei satelliti, e i dati Wi-Fi. Informazioni a disposizione del proprio operatore telefonico, che possono essere usate anche dal nostro sistema operativo e dalle app che scarichiamo, se diamo loro il permesso.
Ma quali sono le app che ci localizzano? Tutte, o quasi. Non solo le mappe e i navigatori. L'iPhone, per esempio, registra i luoghi che visitiamo ogni giorno e raggruppa quelli più frequenti. "Tali dati vengono conservati unicamente sul tuo dispositivo e non vengono inviati ad Apple senza il tuo consenso - scrive nella policy Apple - ma verranno usati per fornirti dei servizi personalizzati". Insomma, un po' a scopo promozionale ma nessuna divulgazione.
Per sapere dove siamo, le aziende si basano sulle applicazioni che scarichiamo e utilizziamo. Se si ha Google mail, per esempio, e altre applicazioni di google, basta andare su Google.it/locationhistory per vedere lo storico delle nostre posizioni rilevate. "Molta gente non sa di avere la location history attiva, anche da tempo. Che a volte è usata perfino da partner gelosi - dice Paolo Dal Checco, consulente tecnico forense per procure e tribunali- per spiare i movimenti dell’altro». "A volte si attivano senza che l’utente se ne accorga - aggiunge - in momenti in cui non vorrebbe essere registrato". "Chi fornisce servizi di posta elettronica al pubblico per legge deve tenere traccia di mittente e suo IP, destinatario, timestamp (data e ora) ma a volte tengono anche dimensione del messaggio e subject", commenta Dal Checco.
Tutte le informazioni, mail comprese, rimangono nel grande calderone di Google a nostra disposizione e, se richiesto, anche del governo. Ma anche usando altre applicazioni, da whatsapp ai browser per navigare in rete rimangono registrati i cosiddetti "metadati" che dicono qualcosa di noi. E lo lasciano a disposizione di aziende specializzate che creano dei profili specifici. I quali, ovviamente, vengono venduti.
Questi dati, insieme a quelli che diamo nella vita reale (ad esempio con le carte defeltà) vengono incrociati con un sistema chiamato onboarding. Anche i social network comprano profili "offline" per arricchire quelli raccolti "online" per rendere più mirata la pubblicità.
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