Telecom, sinistra battuta al Senato Il Polo esulta: l’Unione scricchiola

Governo chiamato domani a Palazzo Madama per rispondere sul caso. Finocchiaro: «Capolavoro Cdl»

Roberto Scafuri

da Roma

Se il Capo tentenna e balla, l’Unione già ballerina del Senato piroetta e cade. Cade, resuscita, si costringe al «triplo salto mortale» per usare il fatal sospiro della capogruppo ulivista di Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, quando si getta in pasto ai cronisti. La maggioranza s’è appena volatilizzata: 148 a 151 (un astenuto) su una proposta di calendario di Forza Italia che conferma il dibattito sul caso Telecom per domani e «invita» il presidente Prodi a essere in aula. Una «vittoria della compattezza», esulterà la Cdl, sicura che la maggioranza «cominci a scricchiolare» e che già oggi, con il primo voto sulla sospensione della riforma della giustizia, ci potrebbe essere una «prova del nove». «Nessuno s’illuda, la maggioranza non è cambiata», fa muro il capogruppo di Prc, Giovanni Russo Spena.
Squassata dall’affaire Telecom, l’Unione s’è infilata ieri nel cul de sac di una votazione a maggioranza sul calendario. Non partecipa il senatore De Gregorio, mentre il senatore a vita Emilio Colombo viene intercettato fuori dall’aula: «Ah, si è votato?», trasecola. La ministra Livia Turco non si vede, l’italo-argentino Luigi Pallaro non si esprime. Una manciata di minuti dopo il tonfo, la Cdl ci riprova su una mozione del leghista Castelli («Discutiamo in settimana sulla solidarietà da dare a papa Ratzinger») e la piroetta stavolta riesce: 153 a 152 per l’Unione, Colombo rimembra che c’è seduta, Pallaro si associa assieme ad altri tre. Uno di essi è però Giulio Andreotti, e la circostanza lascia senza parole gli uomini del Carroccio.
Giornata da acrobati, solita maggioranza appesa ai soliti voti risicati, ma il presidente della commissione Giustizia, Cesare Salvi, ha lo stesso un diavolo per capello. Di lì a poco si dovrebbe cominciare a votare la «controriforma» della Giustizia, alla presenza del guardasigilli Mastella, e l’orizzonte è scuro scuro. «Dilettanti allo sbaraglio! Ci vuole professionalità, in queste cose... È da stamattina che li avverto, qui finisce male!». Salvi racconta di averle provate tutte, per sensibilizzare la maggioranza ballerina. Come quel casellante che, «vedendo sul monitor due treni corrersi incontro verso la catastrofe, appurato che nessuno dei sistemi di sicurezza funziona, chiama il vecchio capostazione: “Vieni nonno, vieni a vedere che botto!”». Anche in mattinata la maggioranza era stata battuta in commissione, sul parere al decreto per la detraibilità dell’Iva, ma il segnale era stato sottovalutato. «Qualcuno dei nostri ancora non si degna di partecipare ai lavori e alle votazioni...», denuncia Salvi.
Sarà pure un «incidente di percorso», come minimizzano tutti i senatori di maggioranza. Ma è sensazione comune che le gravissime tensioni in seno al Partito democratico (tra Prodi, Ds e Dl) sulla Telecom si stiano scaricando catastroficamente sul punto debole della maggioranza, appunto il Senato. I tentennamenti del premier, da ultimo, hanno reso ingovernabile la gestione dei lavori. Fino al punto che nel primo pomeriggio, mentre la Finocchiaro continua a tener fede alla consegna prodiana («Va bene anche se in aula riferisce Gentiloni»), il vicepresidente del Senato, Gavino Angius (ds), insiste per la presenza di Prodi. «Angius parla per sé, io ho un gruppo di 103 senatori!» si giustifica la Finocchiaro. È evidente però che qualcosa s’è inceppato, e grande malumore affiora verso Re Tentenna: «Il giorno dopo il pasticcio, Prodi avrebbe dovuto far dimettere Rovati e venire in Parlamento a chiudere il caso», ammettono molti unionisti dietro lo schermo dell’anonimato. I destini del governo sembrano così appesi, oltre che ai numeri, allo scontro in atto tra premier e partiti su Telecom e politica economica.
Frattura nella quale ha saputo inserirsi con maestria la Cdl, insistendo per la presenza di Prodi prima, e per il dibattito già previsto per giovedì poi. «Hanno fatto un capolavoro - ironizza la Finocchiaro -, alzando tanto la posta hanno ottenuto davvero un bel risultato, perché così abbiamo perduto del tutto la chance che Prodi venga anche in Senato a spiegare...

Invece giovedì non potrà esserci e il 28 andrà soltanto alla Camera...». Tesi aspramente smentita dalla Cdl, che vede Prodi già con le spalle al muro: «Torna dagli Usa alle 12, ha tutto il tempo per venire in Senato...».

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