Telefonate, scherzi, affetto, empanadas. Vi racconto Jorge, Papa rimasto prete

Gli incontri per la biografia. La visita alla celletta del conclave: "Non sapevo cosa mi sarebbe successo"

Telefonate, scherzi, affetto, empanadas. Vi racconto Jorge, Papa rimasto prete

«Come stai?». «Bene, e lei?», «Ancora vivo, sai?». E scoppiava in una risata, che precedeva sempre una domanda: «Ti disturbo, adesso?». Quasi si scusava, ogni volta, per quella telefonata improvvisa, che poteva arrivare alle otto del mattino così come alle sette di sera: «Ma scherza, Santo Padre? Lei non disturba mai», «Ah, menomale, allora possiamo lavorare un po'. O vuoi fare lo scansafatiche?». Papa Francesco amava sorprendere sempre, con la sua ironia e la sua umiltà, alzando la cornetta del telefono del suo studio, con un tango in sottofondo, e chiamandomi sul cellulare. È capitato mentre ero in metropolitana: «Sento un bel po' di rumore, devo urlare?». «No, Padre. Posso chiamarla così? Ho delle persone accanto e non vorrei che mi prendano per pazzo se capiscono con chi sto parlando...». «Ah, tranquillo, ma magari ti ci prendono senza bisogno di dire queste cose!». È capitato mentre ero al mare: «Metti la crema solare, sennò ti bruci!». Ma una sua telefonata era arrivata anche mentre mi trovavo oltreoceano, per un matrimonio di un cugino negli Stati Uniti. Lo avevo informato che mi sarei assentato per un po' e che per almeno una settimana non gli avrei potuto mandare dei testi che aspettava. La telefonata arrivò lo stesso, alle otto del mattino, ora di New York, di certo non per lavorare, ma semplicemente per un saluto: «Vediamo se ho calcolato bene il fuso orario. Stai dormendo, vero? E come è andato il matrimonio?».

Riusciva sempre a spiazzare, Francesco: pur essendo il Papa, pur con tutti gli impegni e il lavoro da fare, riusciva comunque a trasmettere quella vicinanza e quella tenerezza di cui aveva sempre parlato durante tutti gli anni di Pontificato: «Un buon prete è vicino, compassionevole e tenero, perché questo è lo stile di Dio», aveva ripetuto in più occasioni. Dopotutto lui non aveva mai smesso di essere e di sentirsi un prete. Una volta gli chiesi: «Ma lei sa che dicono che sta distruggendo il papato, l'immagine del Papa? Perché sta troppo al livello della gente...». Lui mi guardò, poi alzò lo sguardo in cielo e mi rispose: «Se dovessi andar dietro a tutte le cose che scrivono e dicono su di me, avrei bisogno di uno psicologo una volta a settimana! Ma io non posso farci nulla, la mia vocazione è quella di prete e devo stare in mezzo alla gente!». Poi mi ha guardato e mi ha interrogato: «Gesù stava in mezzo ai poveri? Ecco, ti sei risposto da solo!».

Nell'ultimo anno le lettere, scritte rigorosamente a penna e le telefonate si erano intensificate: arrivavano quasi tutte le settimane perché il Papa aveva accettato una mia proposta e stavamo lavorando alla sua prima autobiografia, Life La mia storia nella storia, il libro, uscito nel marzo 2024, in cui racconta la sua vita attraverso i più grandi eventi che hanno segnato l'ultimo secolo, dalla Seconda guerra mondiale allo sbarco sulla Luna, dalla caduta del Muro di Berlino agli attacchi terroristici del 2001 negli Stati Uniti d'America.

Il primo incontro a Santa Marta per la stesura del volume era stato nel mese di maggio del 2023, dopo che avevamo già fatto un lungo lavoro preliminare via email. La sorpresa più grande era stata scoprire che il Papa mi avrebbe ricevuto nel suo appartamento al secondo piano della residenza Santa Marta. Ovviamente, dovendo affrontare delle lunghe sessioni di colloqui, certamente quello era per lui il luogo più comodo dove poter parlare. Di questi incontri ce ne sono stati quattro, due in primavera/estate e due in autunno/primi mesi d'inverno, ognuno di diverse ore, durante i quali oltre a lavorare, il Papa era riuscito a farmi sentire a casa, andando anche «oltre il lavoro»: «Ma sei arrivato presto oggi, hai mangiato? Prendi qualche biscotto e del succo di frutta!». Un'altra volta: «Ci sono delle empanadas argentine sul tavolo, le ho fatte preparare per te, provale...». Un'altra volta ancora mi presentò dei cioccolati che gli avevano portato dal Sud America: «Questi arrivano dall'Amazzonia... perché non ne provi uno?», mi disse con un velo di ironia sul volto, quasi a volermi sfidare a mangiare dei dolci. Alcune volte mi aveva davvero lasciato a bocca aperta: «Fammi una cortesia, vai lì dentro, sulla scrivania ci sono i miei occhiali, prendili per favore. E porta anche una penna...». «Ne è sicuro, Papa Francesco? È la scrivania del Papa, con tutte le carte, i documenti, le lettere...». La risposta arrivò accompagnata da una battuta: «Vai tranquillo, non farai nessun Vatileaks, oggi...».

La sorpresa più grande è stata quando, dopo avermi raccontato della sua elezione mi disse: «Adesso vieni con me, ti mostro la stanza dove dormivo durante il conclave...». Prese il deambulatore e fece strada, sotto gli occhi attoniti di una giovane guardia svizzera. «Eccola qui, una stanzetta piccola e non sapevo ancora quello che mi sarebbe successo dopo... e forse qualcuno oggi sarebbe stato meglio di salute!», aveva aggiunto sull'uscio, mostrandomi quella cameretta con letto, comodino e scrivania.

Il nostro primo incontro personale era stato qualche anno prima, durante la pandemia, nel gennaio del 2021. Gli avevo chiesto un'intervista per Mediaset, per parlare agli italiani e dare una carica di fiducia in quel momento terribile che stavamo vivendo.

Impossibile dimenticare quella «prima volta»: «Grazie che ti sei disturbato a venire...». E dopo essersi seduto in poltrona e qualche scambio sulle domande a cui aveva deciso di rispondere, iniziammo l'intervista. Da quel giorno, per me, tutto sarebbe cambiato.

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