In televisione Mesina e Cossiga danno lezione di «sardità»

Luca Telese

da Roma

Bisogna vederli insieme, sennò non si capisce. I due non si sono nemmeno incontrati - li hanno intervistati a distanza - ma sembra che abbiano passato la vita insieme. Sembrano affiatatissimi, due amici per la pelle, due voci intonate. E invece, se ci pensi, sono un ex presidente della Repubblica e un ex bandito: le uniche due cose che li accomunano sono la qualifica di «ex» e la sardità. Ma a ben vedere non è poco, anzi. I due sono Francesco Cossiga e Graziano Masina, il presidente e il bandito: potrete vederli domani sera alle 22.50 su Raiuno, in una memorabile puntata dello speciale TG1. E probabilmente sarete subito calamitati anche voi, come i giornalisti che hanno assistito ieri all’anteprima, da questo splendido gioco di contrari e ruoli rovesciati: Cossiga pare uno che abbia passato tutta la vita ad applicare il codice barbaricino, Masina sembra un servitore della Stato; il primo parla in sardo (e si «auto-sottotitola» con prontezza da doppiatore); il secondo sceglie le parole come un lord. Cossiga si diverte ad indagare l’illegalità, Masina pare il depliant della redenzione.
Certo, il presidente emerito non è nuovo a questo schema, e chi lo ha visto a tu per tu con Adriana Faranda nel bel documentario di Alex Infascelli sugli anni di piombo (A risentirci più tardi), ricorderà il sottile senso di divertimento con cui l’ex ministro dell’Interno spiegava all’ex brigatista cos’erano le Br o il comunismo. Ma nel faccia a faccia con Mesina, quale sia il gioco perde importanza rispetto alla perizia con cui viene condotto: ecco Cossiga che appoggia la lama della sua «leppa» (il coltello sardo) nella mano del giornalista della Rai spiegando il significato del porgere il manico («Vedi? Sto mettendo la mia vita nelle tue mani»), eccolo che spiega l’alfabeto della sardità come potrebbe farlo un latitante incallito: «Se tu mi rubi un paio di pecore del gregge passi, puoi anche essere perdonato, o ripagato di egual moneta. Ma se tu mi rubi la capretta da cui ricavo il latte per sfamare i miei figli... Ehhhh!» (dove l’esclamazione è già in sé una condanna a morte). Cossiga esclude con un sorriso che un vero bandito sardo «possa uccidere per denaro», Mesina sospira con l’aria costernata di chi ammette una cosa che gli duole molto e dice: «Sì, dovrebbe essere così, ma in certi casi...». L’intervista incrociata è intarsiata con uno splendido repertorio Rai: scorrono le immagini in bianco e nero dei primi arresti, con la primula sarda giovane, bello e incastonato dentro primi piani dardeggianti. Un cronista d’epoca osserva: «I suoi occhi non si fermano mai....», e si vede il Masina di oggi che si contempla nel monitor: «È una mia buona abitudine. Mi piace capire chi ho intorno». Oppure il memorabile scambio di battute con l’intervistatore: «Dicono che i latitanti debbano stare attenti a tre effe: Femmine, feste e fontane». Ovvero: da tre occasioni di possibile arresto. Qui non si può descrivere (immaginatevelo voi), lo splendido sorriso che scappa alla faccia di pietra di Mesina (noto per le sue evasioni cavalleresche, spesso ispirate solo dal desiderio di incontrare belle donne). «Alle feste rinuncio senza problemi. Alle fonti, che servono per abbeverarsi si può; ma alle femmine....». Lui per le femmine sotto chiave c’è finito, come scoprirà chi volesse leggere una bella biografia che lo riguarda (Lo strano caso del signor Mesina, di Giorgio Pisano, Il Maestrale). E che dire del bandito che rivede un documentario anni Sessanta in cui Enzo Biagi illustrava le sue amanti? E di lui che rivede con occhi lucidi una intervista alla madre con cui gli fu impedito di incontrarsi? «Una cattiveria inutile - ruggisce - non per i detenuti, ma per i familiari». E poi, esaltando le donne sarde: «Lavoravano dalla mattina alla sera, non avevano tempo per nulla, nemmeno per respirare». Sei ancora appeso all’emozione, ed ecco Cossiga che ti spiega: «Il matriarcato sardo è figlio della cultura pastorile, la donna sembra un passo indietro, in realtà è padrona».

È qui che ti accorgi di come questo speciale sia molto di più che una doppia intervista, quasi un saggio antropologico, come l’idea di un romanzo possibile, e mai scritto: uno dei tanti romanzi perduti dell’identità italiana.

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