Templari, pellegrini e profeti Tutti alla ricerca dell’Arca

Per custodirne il segreto re Salomone costruì il più grande monumento della storia

Che fosse custodita nel «Pozzo delle Anime», cuore sacrale di Tanis, città egizia sepolta da una bufera di sabbia nel deserto, è l'avventurosa soluzione data dal cineasta Spielberg (inventore di Indiana Jones e del primo capitolo della sua saga, «I predatori dell'Arca perduta») a uno dei più affascinanti misteri archeologici di ogni tempo: che fine ha fatto l'Arca dell'Alleanza? Le pagine bibliche dell'Esodo, 25,10-21, ci elencano i dettagli costruttivi del carismatico manufatto, che Dio in persona commissionò a Mosè, come teca per le Tavole della Legge, la «Testimonianza». Fabbricata in legno di acacia (identico il materiale prescritto per le stanghe da trasporto, inamovibili dai loro anelli preziosi), era rivestita e bordata d'oro massiccio. I cherubini Metatron e Sandalfon, artisticamente martellati, inarcavano le ali scintillanti sul coperchio, tenendovi fissi gli sguardi, come impenetrabili guardiani: fungevano anche da trono divino, quando l'Altissimo doveva comunicare con Mosè. L'arca era una ricetrasmittente per dialogare con Dio. Ma, secondo le leggende, fungeva anche da poderosa centrale energetica: un alone mistico l'ammantava e folgori micidiali saettavano dai suoi fianchi. Per questo, quando accompagnava il popolo nelle peregrinazioni, era velata da un telo, e durante le soste un'apposita tenda (detta «del Signore») la proteggeva.
Fu nascosta dal profeta Geremia sul monte Nebo, in attesa di una ricostituita unità della gente ebraica? Fu trasportata in Etiopia da Menelik, chiacchierato figlio di Salomone e della regina di Saba, e ancora oggi riposa nella cripta di un monastero copto? Fu scoperta nel suo nascondiglio a Gerusalemme dai Templari (altro abissale indovinello della storia), che ne ricavarono quei saperi scientifici, matematici e architettonici che, portati in Europa dai cavalieri del Tempio, consentirono la costruzione delle incredibili cattedrali, e fecero progredire il continente dall'oscurantismo del medioevo barbarico alla luce della nuova civiltà? Arcani e immaginazioni s'intrecciano in cespugli inestricabili. Si sa per certo che per custodirla, Salomone eresse il suo più grandioso monumento, il Tempio. L'etimologia ricollega a shâlom, «pace», il nome ebraico, Shelomoh, di questo re di Israele, figlio di David e di Betsabea, che in quarant'anni di potere (X sec. a.C), unificò le tribù, creò un'amministrazione fondata sui governatorati e sui gettiti fiscali, privilegiò le attività costruttive sui giochi di guerra, e tessé una rete di cooperazione e di diplomazia che, fosse ancora oggi in atto, sarebbe forse l'antidoto più efficace ai disastrosi veleni che fanno di Israele e dintorni la polveriera a più alto rischio del nostro tempo. Con l'Egitto mantenne relazioni amichevoli, consolidate dalle nozze con la figlia di un Faraone della XXI dinastia. Con Hiram I, signore di Tiro, caposaldo della Fenicia (oggi Libano) strinse accordi politici e commerciali. E questo ci riporta al Tempio. Il progetto iniziale di un degno santuario sul Monte Moriah risaliva a David, padre di Salomone, che aveva ammassato fondi e materiali per la costruzione (tremila tonnellate d'oro e il decuplo d'argento). Ma l'impulso definitivo fece leva sui buoni rapporti di Salomone con il governo di Tiro. Se i dintorni di Gerusalemme fornirono blocchi di pietra per fondamenta e muri di sostegno, la Fenicia mise a disposizione maestranze (gli Ebrei erano abili pastori, ma scarsini in architettura) e soprattutto gli splendidi cedri, legname da costruzione di eccelsa qualità, traspostati su chiatte via mare dalle foreste libanesi allo scalo di Joppa (Giaffa). Con questo legno odoroso fu cassonato il Debir, l'oracolo, il Sancta Sanctorum, il cuore mistico dell'edificio che sul pavimento d'oro, dopo gli otto anni richiesti dalla costruzione, accolse l'Arca. Intorno, fiorirono gli altri magnifici ambienti, il Palazzo, e il Portico. Complesse tubature convogliavano l'acqua sacra in enormi cisterne scavate nella roccia. Questa meraviglia, simbolo dell'identità unitaria del popolo ebraico e del suo nodo con Dio, cadde in cenere sotto l'attacco di Nabucodonosor II, re di Babilonia, che abbatté Giuda e spianò Gerusalemme nel 586 a. C. Ricostruito mezzo secolo dopo, alla fine della «schiavitù babilonese», più volte restaurato e ampliato (da Erode il Grande, nel 19 a. C.), questo Secondo Tempio fu abbattuto, definitivamente, dal romano Tito, nel 70 d. C. L'Arca si era già volatilizzata da secoli.

Il Muro del Pianto restò, unico rudere del Tempio, con il suo carico immenso di irrinunciabili valenze religiose, politiche e ideali. I Cristiani vi giustapposero le loro chiese, l'Islam le sue Moschee, trasformando l'area nel triangolo delle religioni, il punto nevralgico a più alta tensione mistica del globo.

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