Holger Rune, il furbetto che dà pepe alla minestra del tennis

Carattere estroverso come il suo stile di gioco. E non vorresti mai trovarlo dall’altra parte della rete

Holger Rune, il furbetto che dà pepe alla minestra del tennis
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In campo non lo vorresti mai trovare dall’altra parte della rete, magari in una partita di periferia di quelle che ci si arbitra da soli. Holger Rune è uno di quelli capace di sostenere che la tua palla sia finita fuori quando tocca la riga, e poi – con una faccia da furbo – saprebbe pure consolarti: «Un errore? Succede: una volta a te e una volta a me». Però Holger è anche quello che non ha mai rotto una racchetta in vita sua («È una cosa maleducata che dà il cattivo esempio ai giovani») e allora non sai bene da che parte prenderlo. Se non per dire, alla fine, che se ci fosse più gente come lui, il tennis moderno sarebbe un po’ meno piatto.

Insomma: guardando la classifica al contrario, partendo dal numero 8 del tabellone delle Atp Finals lui è il primo, e per questo è arrivato a Torino in punta di piedi. Sguardo sempre sottomesso, risposte a bassa voce, pochi sorrisi ma tante idee in testa, visto che a 20 anni – per dire – ha già battuto due volte in quattro match Djokovic e non ha mai perso contro Sinner. Un bel tipino, qualcuno dice un «bad boy», ma lui si è sempre difeso dicendo «faccio solo le cose con passione». Tipo queste: cancellare dal campo un segno contestato in un match a Madrid contro Davidovich Fokina (modello Jimmy Connors); prendere un po’ in giro Jannik a Monte Carlo (modello Ilie Nastase); litigare con Wawrinka alla stretta di mano finale e per due volte, a Bercy e Indian Wells (modello John McEnroe); prendersi quasi a pugni in spogliatoio a Parigi con Ruud dopo aver perso («dài, la prossima volta saremo meno drammatici», questa è tutta roba sua). Cose da film, insomma, ed infatti lui sostiene che il tennis sia un po’ come un set cinematografico. Ma in realtà poi la vita è tutta lui e la mamma, «l’unica che davvero riesce a calmarmi».

L’altro giorno, nel giorno della presentazione ai media, era seduto di fianco a Tsitsipas e il contrasto era evidente: il greco agghindato con un poncho firmato Loro Piana, Holger in tenuta sportiva dark, come lo sguardo con cui affrontava le domande per dare risposte del tipo «sono contento di essere qui, l’Italia è un Paese pieno di appassionati di tennis». In realtà sostiene che i danesi siano gente sorridente, ma fa di tutto per non farlo vedere. L’importante è vincere, a tutti i costi, e senza nascondere nulla come invece si usa nel mondo del politicamente corretto. E così, quando arrivò la prima volta a giocare il Roland Garros, si presentò affermando «voglio vincere qui più di Nadal»: pensavano fosse pazzo, era solo uno sinceramente fuori dalle righe, di quelli di cui alla fine non puoi che fare il tifo.

Perfino Djokovic, che lo sfiderà stasera alle 21, ha detto che quando affronta Rune gli sembra di giocare contro lo specchio: «Siamo molto simili nel modo di colpire la palla». Un complimento che il cattivo ragazzo accetta arrossendo come un bambino, forse soltanto per cortesia. D’altronde sua madre Aneke, da cui Holger ha preso il cognome, ha spiegato che certe cose non arrivano per caso: «Al suo primo torneo perse in finale e non voleva ritirare il trofeo perché il secondo posto non faceva per lui. E da piccolo tifava per Nadal, ma poi quando il numero 1 è tornato ad essere Federer ha cambiato il poster in cameretta».

Per questo adesso andrebbe a cena solo con Djokovic, sempre portandosi dietro la mamma s’intende, perché di Holger Vitus Nodskov Rune – così si faceva chiamare da junior - resta un padre misterioso che ha un’azienda che noleggia yacht in posti di lusso, che gli sistema i contratti (mentre la sorella Alma tiene i conti) e che ai tornei non si vede mai: «Papà? Gli avevo promesso una Maserati se fossi diventato professionista». Così fu, perché Holger tutto sommato è un ragazzo buono. A modo suo.

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