Terremoto a Westminster Costretto a dimettersi il presidente della Camera

L’ANNUNCIO DI BROWN E il premier promette: «Non ricandideremo chi ha violato le regole»

Terremoto a Westminster Costretto a dimettersi il presidente della Camera

È la testa “eccellente”, la prima di calibro a rotolare ai piedi della ghigliottina che rischia di decapitare il parlamento inglese. Accusato di complicità, di aver chiuso un occhio sulle richieste di rimborso spese a dir poco fantasiose dei deputati inglesi, addirittura di aver fatto di tutto per bloccarne la pubblicazione, Michael Martin, 63 anni, volto paffuto, sangue scozzese e fede laburista proprio come il premier Gordon Brown, suo amico di vecchia data, da ieri entra nella storia della politica britannica per essere il primo Speaker in trecento anni a dare le dimissioni. Ma la sua uscita di scena è l’occasione buona perché il capo del governo Gordon Brown intervenga con un annuncio forte per placare l’ira degli elettori. Il premier esclude che si andrà a elezioni anticipate ma a poche ore dalle dimissioni di Martin avverte: «Nessun candidato laburista che ha violato le regole potrà candidarsi alle prossime elezioni». E coglie l’occasione per annunciare una rivoluzione nel sistema dei rimborsi: «Credo che la chiave di ogni riforma sia passare dall’autoregolamentazione a un sistema di regolamentazione esterno e indipendente». Poi il rimbrotto ai deputati: «Westminster non può funzionare come un club per gentiluomini i cui membri scrivono le regole e le applicano a loro piacimento».
Il terremoto scatenatosi a Londra dopo che il Telegraph ha smascherato i «trucchetti» dei parlamentari inglesi per arrotondare lo stipendio e rendersi parecchio più comoda la vita nella capitale (note spese gonfiate per rifare il look al giardino o per comprarsi la “poltrona massaggiatrice”) ha infatti scatenato l’indignazione dell’opinione pubblica, già infuriata per la crisi. E anche la voglia di sangue degli elettori. Sempre più insistenti si fanno le richieste di dimissioni nei confronti del primo ministro e quelle di elezioni anticipate. Così la politica ha offerto ieri, con le dimissioni dello «speaker» Martin, la sua prima vittima sacrificale di livello. Brown ha evitato il voto di sfiducia nei confronti dello Speaker ma alla fine ha sacrificato l’amico nello strenuo tentativo di salvare ancora una volta se stesso dalla bufera (i giornali riferiscono di aver visto il capo del governo, ieri mattina, nei pressi dell’appartamento dello Speaker).
Ci ha provato fino alla fine Martin a tenersi stretta la poltrona, una sorta di presidenza dei Comuni, che consente di decidere quale deputato può intervenire alla House of Commons e permette di sospendere chi ne viola i regolamenti. Ci ha provato fino alla fine lui che dalle sue povere origini, un padre operaio alcolista e una madre inserviente, era riuscito a diventare terza carica dello Stato dopo la regina e il capo del governo. Ma a un certo punto ha dovuto cedere. Lo ha fatto dopo essere stato messo alle strette da un accanito e trasversale gruppo di parlamentari, dai leader dei tre principali partiti.

E in effetti lo Speaker ha tentato fino alla fine di coprire lo scandalo: ha negato alla stampa i dettagli delle note spese appellandosi alla privacy e quando quei dettagli sono stati pubblicati dal Telegraph ha chiesto l’apertura di un’indagine. Ora esce di scena. Nello stesso giorno in cui Scotland Yard annuncia che non indagherà sull’origine della pubblicazione dei documenti perché l’inchiesta del giornale «è nell’interesse pubblico».

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