I dubbi sulla pista ucraina tra i fedelissimi dello Zar

I dubbi sulla pista ucraina tra i fedelissimi dello Zar
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L’abitudine dei piani alti del potere russo di mentire contro ogni evidenza è storicamente radicata che esiste una parola precisa (vranyo) per indicare quel certo tipo di bugia che nessuno oserà mai contraddire. La fandonia del coinvolgimento dell’Ucraina nella strage islamista del Crocus City Hall appartiene a questa categoria, oltre a essere funzionale a un piano - dietro al quale s’indovina l’anima nera del regime Nikolai Patrushev teso a mettere Volodymyr Zelensky e la sua cerchia in un mirino non più solo metaforico.

Tuttavia alcuni segnali sembrano indicare che forse, questa volta, il Cremlino ha esagerato con il vranyo. E non solo perché perfino il vassallo bielorusso Aleksandar Lukashenko ha ritenuto opportuno smentire, almeno in parte, il racconto ufficiale di Vladimir Putin sulla fuga dei quattro terroristi tagiki: stavano puntando verso il nostro confine, ha detto il dittatore di Minsk, e solo dopo che li abbiamo respinti hanno deviato verso l’Ucraina. No, c’è di più: qualcosa che riguarda un’altra cerchia di potere, quella più vicina allo stesso Putin. Fonti raccolte da Bloomberg riferiscono di un’insolita fronda interna. Di quattro «persone molto vicine al Cremlino» che hanno cercato di convincere Putin ad abbandonare la «pista ucraina».

Come ai tempi della «cremlinologia» sovietica, quando gli analisti occidentali erano costretti a congetturare sulla base di scarse e poco verificabili informazioni, Bloomberg non fa i nomi dei quattro. Riporta, però, che quasi nessuno nell’élite politica ed economica russa crede che ci sia davvero l’Ucraina dietro la strage di venerdì scorso.

A sostenere Putin nella sua narrativa senza prove contro Zelensky e i suoi alleati americani e britannici rimarrebbero dunque il già citato capo del Consiglio di sicurezza nazionale Patrushev e il numero uno dell’Fsb (l’ex Kgb) Aleksandr Bortnikov. Sempre secondo Bloomberg, però, Bortnikov e altri due pesi massimi della sicurezza interna – il ministro degli Interni Vladimir Kolokoltsev e il capo della milizia del regime Guardia russa Viktor Zolotov – sarebbero vicini a perdere il posto per il fallimento nel prevedere l’attentato del 22 marzo.

In classico stile staliniano, infatti, i loro interventi durante una riunione con Putin lunedì scorso sono stati tagliati dalla registrazione dell’evento e i loro nomi non figurano nell’elenco dei partecipanti sul sito web del Cremlino.

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