TESTORI L’ossessione della femmina

Le opere non venivano più riproposte al pubblico dal 1974, quando l’omosessualità dell’artista di Novate faceva ancora scandalo

Ciò che fu visto di veramente inedito nel 1973-74 del grande pittore, saggista, drammaturgo, regista di “matrice cattolica”, Giovanni Testori (1923-93) lo possiamo riammirare oggi fino al 6 aprile alla galleria Compagnia del Disegno di via Santa Maria alla Valle 5 (ingresso libero, lunedì chiuso e sabato su appuntamento) in zona Brera, proprio nel luogo deputato per l’arte scelto dallo stesso Testori la cui abitazione distava pochi metri.
«All’improvviso nell’ottobre scorso - scriveva nel 1974 Pietro Citati - Testori ha cominciato a dipingere, con la passione di un furioso manierista, le dieci grandi tele che occupano la galleria, e quasi pretendono di uscirne fuori, come simboli imprigionati. I volumi cancellati si sono riempiti, raggiungendo un turgore che i corpi umani non hanno; e ora si torcono disperatamente su se stessi, nell’attesa di qualcosa o di qualcuno. I colori aboliti rinascono. Ecco il celeste marino, da cui ha avuto origine la vita; e il rosso, il rosso cupo o scarlatto, il colore del delitto, del tramonto, della sconfitta e della gloria: il colore che i sovrani indossavano più volentieri il giorno dell’incoronazione, e che abbraccerà la terra il giorno dell’Estremo Giudizio». Il corpo femminile è un riflesso del corpo materno della Terra ferita per essere compresa nel sua passione.
Fu nei primi anni Settanta, dopo il successo teatrale dell’Amleto, mentre pubblica le poesie di «Nel tuo sangue» e lavora al saggio introduttivo delle Rime di Michelangelo, che Testori si dedica febbrilmente anche alla pittura, creando uno dei suoi cicli più importanti, quello dei «Pugilatori», fino ai disegni di nudo, oltre a dieci grandi tele il cui protagonista è il corpo femminile. Questi dipinti vengono esposti alla Galleria Alexandre Jolas di Milano nel 1974 accompagnate da un catalogo con un saggio proprio di Citati. Quelle dieci grandi tele non vennero più riproposte nel loro insieme e dopo l’esposizione milanese di quell’anno a distanza di più di trent’anni tornano nelle sale della Compagnia del Disegno come omaggio all’attività pittorica dello scrittore morto nel 1993.
La mostra, dal titolo «Giovanni Testori: nudi. Il colore del delitto e della gloria» si offre anche come occasione per approfondire la storia e la filosofia di questo poliedrico personaggio la cui omosessualità ai tempi fece discutere, antesignano di un nuovo corso che apre al sociale temi antichi che stanno avendo un riconoscimento giuridico e per i quali Testori si espresse molto chiaramente. Questo ciclo di pitture dove la donna è in primo piano quasi fosse vista come la Dea Madre apparentemente trasposta con erotismo, fa capire come Testori amasse infrangere le regole e fare emergere energie e giochi che si nascondono dietro di esse, come ad esempio il rapporto edipico o corpi e volti umani trasfigurati dal piacere o dal dolore.
Ma cosa cercava Testori dietro alla forma? Cercava Dio, «il cui nome sfugge all’arte» sottolinea Citati nel saggio del catalogo che accompagna la mostra. Dio sfugge anche a ogni filosofia e il peccato assoluto, il male senza rimedio sono ugualmente irrappresentabili con le parole e i colori umani. In questo i due scrittori si sono sempre trovati d’accordo perché oltre a Dio e al peccato, Testori desiderava contemplare l’indistinta e illimitata «unità dell’essere».
La vita separata e distinta che noi conosciamo a lui ripugnava, così il mondo gli appariva senza significato.

In questi gradi quadri possiamo vedere tutta la sua furia creatrice e contemporaneamente «invocare sulla nostra terra il rosso del sangue, lo scuro delle nuvole e della morte. Se Amleto ha un desiderio è quello di tornare nel grembo materno, e di restare eternamente sospeso tra l’essere e il non essere, difeso da quella calda e umida indistinzione».

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