Ticinesi sempre più indebitati, non rinunciano al lusso

Luciana Caglio

«Vivere a credito il nuovo sport nazionale». Con questo titolo, il giornale economico zurighese Cash ha definito una tendenza che nella Svizzera, considerata prudente e sparagnina, può sembrare rivoluzionaria. Ma non lo è più. Vengono ormai sconfessate le tipiche tradizioni elvetiche dei conti che devono tornare e del risparmio, sostituite da un rapporto disinvolto con il danaro.
Meno della metà degli svizzeri (il 49% degli uomini e il 44% delle donne) risparmia regolarmente: gli altri non ce la fanno o non vogliono. Altri bisogni e altre priorità hanno il sopravvento nella gestione dei bilanci individuali e familiari. E per soddisfarli si ricorre, sempre più, al credito.
Lo scorso anno nella Confederazione 1,4 milioni di cittadini hanno stipulato un credito di consumo, destinato all’acquisto di beni e servizi non strettamente necessari, spesso voluttuari: televisori, computer, mobili, attrezzi sportivi, capi d’abbigliamento e persino vacanze.
Tutto ciò ha alimentato, complessivamente, un debito di 6,5 miliardi: pari a quasi un migliaio di franchi pro capite. La somma non comprende i prestiti ipotecari per la casa e i leasing per la macchina: il 40% delle auto viene acquistato con questo sistema.
«Compera oggi e paga domani» è lo slogan diventato, per un numero crescente di consumatori, il criterio che li guida nell’amministrazione dei loro soldi. E soldi che si sono smaterializzati. Manca, ormai, il contatto fisico con il franco. Si paga sempre più con le carte di credito internazionali o con le cosiddette “carte cliente“, le shopping card, emesse dai supermercati. E, per affrontare emergenze particolari, si ricorre al piccolo credito, concesso da istituti specializzati a tassi che variano dall’8 al 13,85%. I debiti, insomma, non sembrano preoccupare più di tanto una minoranza certo, ma consistente, della popolazione.
Un fenomeno sul quale ci s’interroga. Secondo l’economista Silvano Toppi, il fenomeno va attribuito, innanzi tutto, al blocco delle remunerazioni: «In Ticino, dove il reddito è inferiore del 22% rispetto alla media nazionale, la tendenza a indebitarsi per mantenere il proprio tenore di vita è intuibilmente ancora più accentuata». Lo conferma, del resto, il fatto che circa un terzo della popolazione del Cantone chiede un sussidio per pagare i premi delle casse malati che gravano, con un pesante 10%, sul bilancio.
Ma, in proposito, Toppi osserva: «Senza dubbio, l’onere assicurativo mette in difficoltà molte famiglie che faticano a far tornare i conti. Sui quali, però, incidono anche altre uscite, oggi considerate indispensabili. Basti pensare ai telefonini, che all’acquisto non costano niente ma poi provocano, nell’uso, fatture salate. E qui si deve proprio parlare di una perduta gerarchia dei valori: sconvolta dal clima consumistico in cui viviamo. Da un lato, si sollecita a spendere, proponendo lo shopping come una ricetta “salvifica”, dall’altro i salari non si adeguano e cresce il rischio dell’indebitamento privato».
Alle abitudini, conquistate negli anni della crescita («mitizzata», dice Toppi) è difficile rinunciare.
Del resto, l’immagine che il Ticino continua a offrire sembra confermare un diffuso benessere: ristoranti e spettacoli affollati, gente elegante, che progetta viaggi e weekend e auto di grossa cilindrata.


Ma, intanto, nei garage si allarga l’offerta delle occasioni: macchine, acquistate in leasing, da compratori insolventi. mentre aumentano i fallimenti privati e le ingiunzioni di pagamento per fatture d’ogni genere. Tutti indizi di una finanza allegra. Che poi tanto allegra non è.

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