Il Tintoretto ritrovato. Un fascio di luce svela la Deposizione

L'opera restaurata spicca nella sala buia circondata da quattro rivisitazioni attuali

Il Tintoretto ritrovato. Un fascio di luce svela la Deposizione
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Osservare da vicino la «Deposizione di Cristo dalla croce» del Tintoretto è un dono che il Museo Diocesano Carlo Martini fa alla città in occasione di questa Quaresima appena iniziata ed è un'occasione da non perdere. L'opera, prezioso prestito dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, è un capolavoro di uno dei protagonisti della pittura italiana, quel Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1594) che ha rivoluzionato prospettive e colori. È un dipinto dal valore speciale, che la mostra al Diocesano approfondisce con il suo caratteristico metodo: mettere al centro della mostra uno solo quadro e ragionare intorno al suo significato, anche grazie al contributo di artisti di oggi.

Fino al 25 maggio, «Attorno a Tintoretto "La Deposizione". Quattro artisti contemporanei sfidati da un capolavoro» accosta efficacemente il dipinto del 1560 con i lavori a lui ispirati firmati da Jacopo Benassi, Luca Bertolo, Alberto Gianfreda e Maria Elisabetta Novello, in una mostra curata da Giuseppe Frangi, Giulio Manieri Elia e Nadia Righi. Il Vasari definiva Tintoretto «il più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura», intendendo, come ci spiega Righi, direttrice del Diocesano, «la stravaganza ma anche la capacità di coinvolgerci nella sua opera».

La Deposizione spicca al Diocesano in una sala buia, dalle pareti vellutate: è impressionante e monumentale (4 metri per 3). «Sembra un close up cinematografico», dice Righi. Il Cristo morto, la Madonna svenuta e terrea in volto, la Maddalena che spalanca le braccia sono dipinti in scala enorme: insieme alle pennellate dense e ai contrasti tra luce e ombra creano una scena teatrale. «La composizione è costruita sulle diagonali, in una rappresentazione di potente forza espressiva», commenta Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell'Accademia.

Realizzato per la chiesa di Santa Maria dell'Umiltà delle Zattere di Venezia, poi andata distrutta, il dipinto non ha avuto gran fortuna, se paragonato ad altre opere più note del maestro: forse la sua eccessiva drammaticità e il fatto che fosse rovinato ai lati ne hanno sminuito il valore. Un restauro recente ha riportato alla luce i vibranti colori originali e svelato che il paesaggio ai margini è stato aggiunto dal pittore in seguito, quasi un ripensamento per attenuare la scena.

Sulla visione del Tintoretto, che pur nel dramma proietta una luce sul volto di Cristo quale segno inequivocabile di speranza, ragionano le quattro opere contemporanee selezionate da Frangi, poste nelle salette laterali e in dialogo con l'opera: Novello costruisce un'installazione di cenere al pavimento dal titolo poetico «Morte Vita, la morte nella vita», Benassi in una

composizione complessa rievoca la morte della madre, Gianfreda immagina una Deposizione fatta di piatti rotti, mentre Luca Bertolo confeziona una sua personalissima Veronica, il velo con impresso il volto di Gesù, da tele dismesse.

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