"Il tredicesimo simbolo" unisce fede e ragione per smascherare il killer delle monache

La seconda indagine dell'antiquario detective Ludovico Boringhieri

"Il tredicesimo simbolo" unisce fede e ragione per smascherare il killer delle monache

Un antico monastero nella cartolina di Cortona. Un arazzo che nasconde un segreto. Un grappolo di suore trafitte una a una da un killer misterioso. Medio Evo e sangue: potrebbe essere la trama di un romanzaccio alla Dan Brown, fra sacro e mistero. Invece Il tredicesimo simbolo (Il Ciliegio, pagg. 432, euro 22) di Arnaldo Pavesi sfugge a questi stereotipi e non occhieggia alle cadenze di certo gotico internazionale; no, cerca una propria strada, tutta italiana, nel ritmo, nella cornice filosofica - dove si realizza quell'incontro-scontro tra fede e ragione che è una delle chiavi della nostra civiltà - e perfino nei piatti, dalle tagliatelle al ragù di coniglio all'ossobuco in tegame, divorati dagli investigatori.

A partire dal protagonista Ludovico Boringhieri, antiquario di successo, come l'autore, qui alla sua seconda prova. Nel primo libro, 13 gocce di cera rossa, Boringhieri si muoveva a Venezia e cercava di mettere ordine in una eredità assai complessa e pericolosa. A Cortona, ultimo lembo di una Toscana colma di scrigni, Madre Emeraude, la badessa, lo chiama per inventariare i beni del complesso, ma poi gli avvenimenti procedono vorticosi, fra omicidi, sparizioni, intuizioni e sospetti. Boringhieri è un miscredente, disincantato, ma prende a cuore il destino di quelle religiose che lottano per sopravvivere, in tutti i sensi. Perché nei piani della curia non c'è più spazio per le consorelle votate a un declino inesorabile, quello di tanti conventi italiani, ma anche alla morte, perché una mano assassina le colpisce con furia cieca. Che cosa c'è dietro gli agguati che sconvolgono la quiete di quell'eremo?

Ci vuole una full immersion nella storia, a ritroso nel secolo, per trovare una chiave di lettura adeguata. Tutto, anche un dettaglio, anche una parola mormorata, anche un' invocazione a San Francesco di Sales, patrono degli audiolesi oltre che dei giornalisti, può essere utile per diradare le tenebre. Ludovico e Madre Emeraude, il raffinato professionista e la compunta badessa, sembrano provenire da due mondi opposti, ma poi si ritrovano, si intendono. Lui è adagiato sul suo relativismo, ma organizza una brillante conferenza per raccogliere fondi e coagulare energie in difesa di quel presidio di arte e stile. Lei segue la sua regola che non conosce pause, vacanze o digressioni, ma al momento opportuno interpreta i fatti con realismo. Non c'è spazio per magie o minestroni spirituali, ma per un esercizio acuto della ragione, alla ricerca di indizi e riscontri, e per i sentimenti più nobili, a cominciare dalla lealtà che è una forma di carità reciproca e di porta della conoscenza.

Il resto è il piccolo cosmo di Boringhieri: le scorribande in moto in un paesaggio che sembra una tavolozza, gli amori che riempiono ma lasciano sempre più soli di prima, anche perché troppo complicati e sdrucciolevoli, le punzecchiature sul filo dell'ironia nei confronti di Jacopo Bernardi, l'insostituibile assistente con il pallino dell'informatica. E poi, naturalmente, c'è Cortona, seconda tappa di quel viaggio In Italia intrapreso da Pavesi e cominciato a Venezia: il borgo antico cinto da mura ciclopiche, la pietra grigia, la Valdichiana, in basso, e i piccoli grandi intrighi della provincia.

Boringhieri raccoglie le confidenze delle novizie, si confronta con la badessa, scruta l'aristocrazia locale, anticipa i carabinieri con i quali è in competizione. E rischia di essere ammazzato a sua volta.

Sarà alla fine la cultura, oltre a una discreta dose di buona sorte, a salvargli la vita. E a svelargli, oltre il muro della cripta, l'origine di quella terribile storia.

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