«Da Treviso un segnale ai lumbàrd Lavorare per la Cdl ci rafforza tutti»

Luca Telese

da Roma

Senatore Sacconi, dopo il voto delle politiche, e dopo il risultato del referendum, qualcuno parla di «Questione settentrionale».
«Ha ragione. È innegabile che una questione settentrionale esista, ed emerga anche da questo voto».
Nella sua Treviso vince il no, perché?
«Un dato in controtendenza rispetto al Veneto, che è perfetto per risponderle. Dopo tre mandati di monocolore leghista, gli elettori danno un segnale. Forse, come è accaduto in provincia, è ora che la Lega capisca che costruire la Casa delle libertà ci rafforza tutti».
Il fatto che l’area più produttiva non si riconosca nelle posizioni del centrosinistra e abbia votato per la vostra riforma che cosa significa?
«Che questo voto ha allargato sempre di più il solco fra Nord e Sud».
Parla un Sacconi para-leghista?
«Al contrario: io non voglio che il solco aumenti, ma che piuttosto si riduca».
Lei vuol dire che quel malessere va ascoltato nell’interesse di tutti?
«Il malessere del Nord è la punta dell’iceberg di un malessere diffuso e condiviso da Nord a Sud. Lì si manifesta in forma più chiara. È il disagio dei ceti produttivi e più dinamici del Paese che avvertono la sfida della competizione globale e vogliono gli strumenti per tenere testa alla concorrenza».
Sono competitivi solo quelli che votano centrodestra?
«Ovviamente non c’è un’equazione. Però senta questi dati. La Casa delle libertà, fra gli imprenditori e i liberi professionisti, nel Nord est prevale del 52% sul centrosinistra. Nel Nord ovest dell’11. Al Sud il rapporto è esattamente rovesciato, l’Unione prevale, in questa categoria dell’11,2%. Credo che queste cifre rendano l’idea».
Si può obiettare che sono i più ricchi.
«No. Perché anche fra i lavoratori autonomi le percentuali si ripetono: il 42,9% nel Nord ovest e il 43% nel Nord est vota centrodestra. In due sole categorie, al nord, l’Unione vince».
Quali?
«Sono, guardacaso, impiegati pubblici (+11%) e insegnanti, tra cui L’Unione prevale addirittura del 33%».
Cosa significa per lei questo voto alla Cdl e a favore del referendum?
«Interessi ed emozioni».
Ovvero?
«Interessi radicali, regolarmente offesi da certi settori dell’Unione. E i valori a loro collegati. Il Nord che si è modernizzato più velocemente, per esempio, ha anche a cuore i valori della famiglia. E contemporaneamente pone istanze di modernità forti: vuole infrastrutture, provviste energetiche, regole semplici».
Ma postulare tutti questi bisogni al Nord, non può portare alla risposta naturale della secessione?
«Per me è esattamente il contrario. E non solo perché nego ogni contrapposizione Nord-Sud. Ma perché, come provavo a dire prima, tutti questi bisogni di cui il Nord ha coscienza, esistono anche al Sud».
Lei pensa al Nord come a un laboratorio di modernizzazione possibile?
«Proprio così. Perché quando anche il Sud oltre a volere, come di sicuro accade oggi, regole chiare, possibilità di fare impresa, vie sicure sui trasporti, li trasformerà in istanze politiche, allora si ricongiungeranno le due parti di un Paese che oggi sembra diviso».
Ma se è così perché il referendum non è passato?
«Perché le due immagini della riforma arrivate al grande pubblico sono state quelle propagandate dalla Lega, e quelle propagandate dall’Unione».
Colpa della Lega?
«Assolutamente no, ha fatto il suo mestiere. Qui è colpa nostra. Dovevamo saper propagandare meglio la lettura riformistica della nuova Carta».
E poi?
«Il No poteva contare anche su un supporto para-istituzionale: associazioni, magistrati, persino parte della Cdl».


Ora ce l’ha con Follini e Tabacci?
«Affatto. Mi sta più a cuore lanciare un messaggio chiaro, anche ai miei alleati. Per i motivi che ho elencato, la battaglia del Nord, diventa ora la battaglia dell’intero Paese».

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