«Trucchi e minacce: così funziona il Fli»

Onorevole Maria Grazia Siliquini, ci manca lei a mettere zizzania nel Fli.
«Ma guardi Menia, per esempio. Menia è un uomo di des-tra! Cosa fa lì? E Viespoli? E Urso poi, Urso è un li-be-ra-le!».
Eh, ma lei boia ha mollato, loro restano.
«Le ripeto: faccio appello perché vengano con noi Responsabili. Fini ha usato noi per combattere la sua battaglia personale contro Berlusconi. E finirà alleato di Vendola».
Al congresso di Rho ha detto mai a sinistra.
«Vendola ad Annozero s’è lasciato scappare il contrario, lamentando che gli hanno proposto questa “santa alleanza” fino al Fli, ma senza Di Pietro perché non fa comodo a D’Alema e Bersani, tanto il giustizialismo sarebbe ben rappresentato da Fini».
Lei Cassandra lo aveva detto.
«Sono stata l’unica in aula il 14 dicembre della sfiducia ad alzarmi e a motivare il mio voto per il governo».
E giù insulti.
«Non hanno osato, perché ho dato una motivazione politica. Solo Barbareschi mi disse: “Che delusione sei”».
Senti chi parla.
«E poi ha fatto la stessa cosa, viene da ridere vero?».
I cadaveri passano sempre nel fiume.
«Ormai re Gianfranco è nudo, le maschere sono cadute».
C’era una volta An.
«Sono stata dirigente a Torino per dodici anni. Ho vinto tre turni elettorali in un collegio rosso come Torino».
C’era una volta An che co-fonda il Pdl.
«E c’era una volta Fini che se ne va. Io lo seguo, ci mancherebbe, per stima e affetto».
Poi che succede?
«Se mi ricordo le riunioni».
Colombe contro falchi.
«All’inizio Fini sembrava ascoltare tutte le anime. E così noi moderati ci abbiamo creduto, ci siamo impegnati a elaborare un programma politico. Poi a poco a poco hanno vinto i khomeinisti».
Che sarebbero Bocchino, Granata e Briguglio?
«Vede, a un certo punto non si trattava più di sviluppare contenuti politici, economici o culturali per darci una linea o un’identità».
Ma?
«Bisognava cercare un tema su cui poter attaccare Berlusconi, su cui poterci distinguere dal Pdl. Per questo il Fli ha iniziato a puntare tutto sulla legalità. Virando presto sul giustizialismo».
E lei?
«Vedevo gli indizi, ma non avevo prove. Poi ho capito che la linea di Fini e quella di Bocchino coincidevano fin dall’inizio».
Loro dicevano di voler fare la terza gamba della maggioranza.
«Poi però quando, dopo la fiducia sui famosi cinque punti, il premier riconobbe al Fli questo ruolo, Fini decise di rompere. Perché?».
Eh, perché?
«Diceva di voler allargare il centrodestra, invece voleva solo abbatterlo. Del resto inizia sempre per a, no?».
Lei si ribellò.
«Se qualcuno mi chiede di scegliere fra gli elettori e un leader che cambia rotta, io scelgo gli elettori. Lo dissi a Fini».
Quando?
«Andò così. Quando decisero di presentare la mozione di sfiducia io ero a Torino, perché il Parlamento era chiuso per dare la precedenza alla legge di stabilità».
Decidono e la avvertono.
«Mi telefona Urso, dice che è un’imposizione, devo firmare. Io protesto. Lui mi rassicura. Dice: è solo tattica, per aprire la trattativa e allargare la maggioranza con Berlusconi».
Invece Fini pretende le dimissioni del premier.
«Gli dicono che sono dubbiosa. La sera prima, il 13, alle 19 mi chiama nel suo ufficio».
E dice?
«Per mezz’ora ripete che bisogna abbattere Berlusconi».
Così dice.
«Sì, senza motivazioni politiche. Bisogna farlo e basta.

Perché lo ordina lui».
Lui ordina.
«Non è stato un incontro gradevole. Peccato che mi abbia convinta del contrario».
E adesso?
«I senatori e i moderati del Fli, se restano lì hanno finito di far politica per sempre».

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