Tutti insieme per disegnare il «Manifesto» dell’ovvietà

Ci si sono messi d’impegno, superando divisioni e, in qualche caso, contrapposizioni consolidate. Fosse anche solo per questo, sarebbe un grande merito. Poi hanno elaborato un documento comune con le cose da fare subito per rilanciare l’economia regionale. Insomma, le 11 più rappresentative associazioni territoriali, espressione delle categorie economiche, dagli industriali agli artigiani, dagli operatori agricoli ai commercianti, si sono date da fare. Fino al punto da elaborare un «Manifesto» per lo sviluppo, in sei punti e quattro pagine. La buona volontà è fuori discussione, l’esito tutto da verificare. Soprattutto, ma non solo, per le dichiarazioni che hanno accompagnato la presentazione del testo, ieri all’Hotel Bristol, da parte degli esponenti di Agci, Cia, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confindustria, Confesercenti, Legacoop: ricette come «ci vogliono meno tasse, più produttività e scelte di natura strategica e strutturale». E inoltre: «Ognuno faccia la propria parte, bisogna rimboccarsi le maniche, dobbiamo trovare le formule giuste per ridare slancio all’economia». Per arrivare a: «Facciamo funzionare le risorse comunitarie» e «occorre semplificare le procedure burocratiche, basta tasse, più occupazione», passando attraverso l’immancabile «facciamo un tavolo di lavoro»... D’accordo, come sottolineano Massimo Sola, direttore di Confindustria Genova, e Sandro Cepollina, presidente di Confindustria Liguria: «La nostra regione vive un momento critico; non è pensabile che l’equilibrio dei conti regionali sia assicurato con il ricorso alla tassazione che colpisca il reddito delle imprese e dei lavoratori attraverso addizionali Irap e Irpef». D’accordo: occorre «il contenimento della spesa regionale nei settori in cui sono possibili risparmi, razionalizzazioni e disinvestimenti dei settori improduttivi, in particolare sanità e trasporto pubblico, nella liberalizzazione dei servizi, nella riorganizzazione delle società partecipate, nella dismissione di parte del patrimonio immobiliare».
Ma che ci voglia l’ennesimo «Manifesto per lo sviluppo» e l’ennesimo «tavolo di lavoro» per annunciare queste ovvietà pare un esercizio stracotto, anzi irrimediabilmente bruciato. Hai visto mai qualcuno che propone - per riprendere i concetti espressi dalle associazioni di categoria - che «il contenimento della spesa regionale passa attraverso l’aumento della spesa per sanità e trasporto pubblico, il blocco delle liberalizzazioni dei servizi, la disorganizzazione delle società partecipate, e l’acquisto di immobili da parte degli enti pubblici»? Neppure il miglior Vendola (o Santoro) in vena di demagogia populista arriverebbe a tanto.


Insomma: tutta qua la ricetta delle categorie? E, soprattutto, come si concilia con gli accordi trionfali che solo poche settimane fa parti qualificanti delle medesime categorie (vero presidente Marcegaglia?) hanno concluso con i sindacati? Quei sindacati che rispetto a tanti, troppi punti del Manifesto «manifestano» idee diametralmente opposte.

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