Ue, Barroso non fa sconti a Londra: «Sul bilancio aspetto nuove proposte»

Bocciato il piano inglese sulle prospettive finanziarie dell’Ue. Il presidente: «Non vogliamo crisi». Ma l’intesa resta lontana

Alessandro M. Caprettini

da Bruxelles

Weekend di passione per Tony Blair e Jack Straw. Bocciata la loro proposta di bilancio 2007-2013, premier e ministro degli Esteri britannico si spenderanno, da oggi a domenica, in un nuovo giro d’orizzonte - con contatti bilaterali - per capire se c’è ancora spazio per un accordo prima del conclave europeo a 25, in calendario per la prossima settimana.
«Ci aspettavamo un negoziato duro. Stiamo facendo tutto quello che possiamo e come meglio possiamo...» ha osservato laconico Straw, prima di lasciare il summit dei ministri degli Esteri, ieri a Bruxelles, in cui si è presentata formalmente la proposta britannica sulle prospettive finanziarie. Si va insomma ai tempi supplementari, ma l’atmosfera non è ottimista. Senza appello del resto la bocciatura rimediata ieri alla bozza messa a punto da Londra. Italia, Spagna, Germania, Francia, i 10 nuovi, Portogallo, Grecia: quasi assordanti i «no» piovuti al taglio delle risorse dei fondi strutturali e di coesione. E anche il minucut che la Gran Bretagna aveva messo a punto sul suo sconto (spiccioli) per tentare di parare i colpi nemici, e per i quali Blair è già sotto accusa a Londra, non è servito a granché. «Le concessioni sul rebate fatte dagli inglesi? Una solidarietà al contrario» ha seccamente fatto presente il segretario di Stato spagnolo agli Affari Europei Alberto Navarro.
L’attacco più duro all’ipotesi Blair, è giunta comunque da parte di José Barroso, che proprio l’inquilino di Downing Street aveva in larghissima parte contribuito a far eleggere al soglio europeo. Il presidente della Commissione non ha risparmiato ieri parole dure nell’analisi del budget germogliato a Londra: «Così come stanno le cose - ha esordito davanti ai ministri degli Esteri dei 25 - le proposte non sono accettabili. Non è un bilancio per un’Europa allargata, dinamica e competitiva come si era detto di voler fare. Al contrario, manca di ambizioni e minaccia di fare l’Europa meno, anziché più unita. Qui - ha aggiunto sarcastico - non si fanno passi avanti... anzi se ne fa uno avanti e due indietro».
Scontata la sua richiesta di rivedere al più presto tabelle e ipotesi di marcia, con una raccomandazione: «Ciascuno stato membro deve pagare la sua giusta quota al peso dell’allargamento». E ancora: «L’Europa non può più affrontare periodi di crisi. Il tempo stringe e non possiamo rinunciare ai nostri sforzi per trovare un accordo». La patata bollente, in sostanza, resta nelle mani di Tony Blair. Tra oggi e domenica dovrebbe contattare capi di Stato e di governo per capire se c’è ancora una via d’uscita. A Londra non si crede possibile che possa cedere più di quanto abbia fatto. I tabloid britannici - fino a ieri infervorati sulla questione Cia e su altre amenità - cominciano a dedicare spazio alle cessioni che la Gran Bretagna si appresterebbe a fare sul piano economico «agli euroburocrati spendaccioni di Bruxelles». In Parlamemento, ieri, il premier inglese ha parlato della possibile rinuncia a 8 miliardi di euro come di «spiccioli» se confrontati ai nuovi introiti derivanti dall’ingresso dei 10 Paesi dell’ex-Est europeo, vincolati anch’essi dal protocollo ottenuto a suo tempo dalla Thatcher. Ma si è già intravisto che questa tattica paga assai poco. Possibilità di accordo, allora? «Deboli» ha ammesso Straw.

Poco più ottimisti i tedeschi - quest’oggi sulla materia s’incontrano la neo-cancelliera Merkel e Chirac - secondo il cui ministro dell’Economia Steinmeier «si può discutere» sulla base di partenza voluta da Londra. Ma proprio i bookmakers della capitale inglese danno il fallimento a portata di mano.

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