Ulivo e Rifondazione: Bertinotti tra due fuochi

Malumore anche per le manovre di Diliberto che ironizza sulla «svolta governista»

Roberto Scafuri

da Roma

Il campanello d’allarme è suonato già troppe volte per non mettere in agitazione casa Prodi. Il «basta, così non si può più andare avanti» da semplice sbuffo d’irritazione ora assurge a strategia politica. Di qui le profferte di «allargamento della maggioranza» avanzate da Fassino (dall’Unità corredate con vistosa foto di Follini). Di qui l’irrituale iniziativa del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, con sostanziale «via libera» all’allargamento, ieri spiegato su Liberazione.
Che cosa si muove? Bertinotti pare sentirsi sotto accusa e, in effetti, uno dei ragionamenti fatti nei giorni scorsi da uno dei leader dell’Ulivo suonava duro e minaccioso: «Abbiamo trattato con Bertinotti perché ci assicurasse la stabilità della maggioranza: se il suo partito non tiene e i suoi dissidenti non rispettano gli ordini di scuderia non sarà colpa sua o di Giordano... Ma nemmeno nostra». Il problema degli irriducibili rifondatori che, pressati da Diliberto a sinistra e dall’Unione a destra, al Senato hanno finito per «dimostrare una preoccupante mancanza di cultura di governo» (per dirla con il riformista Peppino Caldarola) sta trasformandosi nel nodo scorsoio della maggioranza. Che a settembre trova nella Finanziaria il proprio Capo Horn. «Se dimostriamo di saper superare quegli scogli al meglio - pronostica l’ulivista Fabrizio Morri - ci guadagniamo i mari del Sud e navigazione serena... Sarà la Cdl a non reggere più».
Il punto focale della tenuta di governo passa appunto per Rifondazione e per quello che il capo dei senatori, Giovanni Russo Spena, non esita a definire «cattivo esempio» dato dai quattro ribelli. Beneficiati, grazie a «un errore del governo» (come ragiona il socialista Roberto Villetti), di un «potere d’interdizione enorme». Non bisognava porre la fiducia sull’Afghanistan, spiega Villetti, così da lasciar loro la responsabilità di un voto «aperto» alla Cdl e «poterli disinnescare». Invece i quattro irriducibili, non paghi della visibilità, sono arrivati a chiedere persino il «riconoscimento politico» e a preventivare nuove azioni di lotta su Finanziaria e, a gennaio, ancora sulle missioni militari. Stamattina Prc terrà un difficile esecutivo-direzione nel quale sarà evidente la pressione del partito sui senatori, due dei quali «importanti dirigenti di Rifondazione, che sapevano bene di non poter tornare a casa loro, se avessero votato no al governo». Si dice che Grassi, Malabarba e compagni, al di là dei toni battaglieri sui giornali, vivessero con molta angoscia la possibilità di una votazione senza fiducia. «Hanno inferto un vulnus alla comunità politica - dice ancora Russo Spena - e sia chiaro che ciò non sarà più loro consentito. Mai più accadrà che dal dissenso e dal confronto reciproco, pur valori assoluti, si determini una difficoltà o una minaccia per il partito e la maggioranza. Non tollereremo un ricatto permanente, magari sulla Finanziaria, e l’esistenza di un altro partito all’interno di Prc. Ed è chiaro che sarebbero loro a separarsi dal corpo del partito e non viceversa».
Detto in soldoni, il fallo è stato talmente grave che è scattato il cartellino giallo. Alla prossima, fuori. L’espulsione resta una decisione estrema, che la segreteria rifondatrice dice di volere e poter scongiurare «con le buone». L’ennesimo travaglio di Prc, va detto, viene trattato con riguardo in molti settori della maggioranza. «Io apprezzo molto la lealtà del gruppo dirigente di Prc - dice per esempio Caldarola - e guardo con rispetto lo scontro, che testimonia la svolta voluta da Bertinotti. Non mi piace per niente, invece, il gioco di Diliberto che lucra sulle loro difficoltà». La marcatura «stretta» dell’«ex» continua a farsi sentire e pesa tanto - persino troppo - sui meccanismi interni di Prc. Così il Bertinotti in difficoltà pone il tema dell’«allargamento anche a forze moderate disposte a superare il liberismo» (apertamente si fa il nome di Marchionne e ci si rivolge a parte di Confindustria che potrebbe convergere su misure della Finanziaria). Il Diliberto in agguato ironizza sulla «svolta governista del compagno Fausto» e la boccia senza appello. Bocciatura fatta propria dalla minoranza interna. «Un ulteriore spostamento a destra della coalizione», la giudica Grassi.

Salvatore Cannavò evoca un congresso straordinario per la gestione «a colpi di strappi». E il governo? Risposta più che scontata: «Non è detto che vi si debba rimanerci per forza, esiste l’appoggio esterno. Se non addirittura l’opposizione...».

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