Ultima fermata Cape Canaveral La «Disneyworld» dello spazio

Il primo uomo sulla Luna partì da questa città della Florida. L’Universo è la principale fonte di reddito dei suoi abitanti

Roberta Pasero

da Cape Canaveral (Usa)

Ha puntato un’altra volta verso l’infinito, varcando i cancelli dello spazio e i confini dell’immaginazione. Lo Space Shuttle Discovery STS 121 da giorni era posizionato sulla rampa di lancio 39B, in attesa che cominciasse il conto alla rovescia e si schiudesse un’altra avventura interplanetaria. Ancora una volta il rombo dei motori è stato più forte di quello delle onde arrabbiate dell’Atlantico, ancora una volta migliaia di americani, secondo un rito che si ripete identico ad ogni missione, hanno osservato dai tetti di Cocoa beach la nuvola incandescente di gas spingere la navicella spaziale dritta verso il futuro. Il comandante Steven Lindsay e i suoi sei astronauti sono entrati in orbita con il loro carico prezioso di pezzi, trasportato dal modulo logistico pressurizzato Leonardo dell’Agenzia Spaziale Italiana, per costruire la Stazione Internazionale Spaziale, un fantascientifico laboratorio orbitante per la ricerca scientifica che proprio qui in Florida viene assemblato, bullone dopo bullone, prima di volare in cielo.
Sembra fantascienza ma non lo è. Per comprenderlo basta entrare al John Kennedy Space Center, ovvero nella celeberrima base Nasa di Cape Canaveral, qui dove l’impossibile è una parola dell’altro mondo, qui dove, giorno dopo giorno, da quella storica sera del 1969 quando il primo uomo mise piede sulla luna, si vive senza limiti e confini. Basta imboccare la strada SR405 e cominciare a percorrere una parte dei 567chilometri quadrati occupati da hangar e rampe di lancio di questo avveniristico complesso che si estende nella riserva naturale Marritt Island National Wildlife Refuge, basta sorpassare alligatori e aironi blu, farsi sorvolare da rondini reali e falchi pescatori, per entrare nella cittadella dello spazio costruita alla fine degli anni Quaranta in questo punto d’America che consentiva di far ammarare facilmente i razzi nell’oceano e, vista la vicinanza all’Equatore, di sfruttare al meglio la spinta dovuta alla rotazione terrestre. Diciassettemila astronauti, tecnici aerospaziali, scienziati ma anche vigili del fuoco, poliziotti, medici, persino sorveglianti dell’ambiente naturale e tagliaerba, hanno qui il loro quartier generale, timbrano il cartellino al mattino presto e la sera escono dal John Kennedy Space Center per tornare a Titusville, dove vive la maggior parte dei dipendenti Nasa, oppure in una delle altre cittadine attorno alla base nel tratto di spiaggia e di mare chiamata Space Coast.
È qui che ogni missione viene prima immaginata e poi realizzata, dai tempi d’inizio dell’esplorazione galattica in cui i razzi Redstone, Atlas, Titan ora esposti nel Rocket Garden, vennero mandati in orbita venti, trenta, quarant’anni fa. È questa l’ultima fermata sulla terra per i viaggiatori dello spazio e già rimirandola dall’alto, dall’Observation Gantry, prima di percorrere la lunga striscia d’asfalto che congiunge i luoghi simbolo di Cape Canaveral, lo stupore diventa emozione. Ecco il Vehicle Assembly Building, l’edificio più grande degli Stati Uniti che copre una superficie di oltre tre ettari e ha un volume di 3 milioni 600mila metri cubi: è in questa caverna gigante dove un tempo venivano assemblati i razzi lunari che lo Space Shuttle viene costruito, mentre qualche chilometro più a nord nell’Orbiter Processing Facility i tecnici fanno il check up della navicella tra una missione e l’altra. E là ecco i Crawler Trasporters, mezzi cingolati grandi quasi come un campo di calcio che, viaggiando su sentieri di roccia frantumata, trainano gli Shuttle alle mastodontiche rampe di partenza 39A e 39B realizzate con 52mila metri cubi di cemento armato e dotate di ascensore per l’imbarco degli astronauti. Conto alla rovescia, tutto è pronto per il lancio qui al Control Center, la stanza dei bottoni con le pareti di vetro dove al termine del countdown il direttore della missione dà l’ok per la partenza, come spesso si vede in tv nei momenti che precedono il decollo verso lo spazio. Ma quello che le telecamere non inquadrano mai è ciò che accade non appena la navicella entra in orbita: secondo tradizione tutto il team tecnico festeggia la riuscita della fase iniziale della nuova impresa gustandosi ciotole di fagioli speziati.
Ma Cape Canaveral non è soltanto scienza, è anche divertimento. È la Disneyworld dello spazio: sarà un caso però attorno al centro della Nasa, che è a metà strada tra Miami e Jacksonville, sono stati costruiti i più celebri funny park del mondo, da Sea World agli Universal Studio, da The island of adventure a Future World, dal Discovery Cove a Disneyworld, appunto. Qui, certo, è tutta un’altra storia, ma lo spirito dello scoperta per gli oltre due milioni di visitatori (il numero più alto che si lascia tentare dalle attrazioni della Florida) che ogni anno varcano i confini del John Kennedy Space Center, cammina parallela alla voglia di simulare emozioni. Vi sono finti astronauti per le classiche foto ricordo e veri astronauti pronti a raccontarti cosa accade nella mente e nel cuore quando si guarda il mondo da un oblò. Ci si può perdere tra le centinaia di gadget nello Space Shop (tute spaziali da indossare chissà dove, guantoni da forno garantiti per temperature marziali, palline da golf griffate Nasa, penne che vanno in orbita, gelati disidratati e spuntini spaziali per nutrirsi come nello Shuttle e mille altre memorabilia galattiche) oppure riflettere davanti allo Space Mirror, il monumento nazionale in onore degli eroi dello spazio morti per inseguire il sogno e i cui nomi sono scritti su una particolare superficie di granito che, attraversata dalla luce del sole, li fa apparire sospesi tra le nuvole del cielo. Ci si può sedere ai tavolini del Moon Rock Cafè sotto i giganteschi moduli dell’Apollo/Saturno V oppure trascorrere una giornata seguendo il programma di addestramento per il volo a bordo di un vero Shuttle, si può accarezzare un pezzetto di roccia lunare che milioni di mani hanno reso quasi vellutata, simile ad una pietra molto preziosa e vedere immagini inedite riprese dagli astronauti durante le loro missioni. Un incontro ravvicinato con lo spazio che alla fine emoziona anche i più distratti.

Anche chi è convinto che oltre la terra vi sia il vuoto e non crede possibile ascoltare, un giorno, altre voci sperdute chissà dove nell’universo. Un’emozione destinata a moltiplicarsi ad ogni missione, almeno fino a quando l’uomo continuerà ad inseguire milioni di stelle.

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