Fa persino caldo, oggi in piazza del Duomo. Elena Talpo è accalorata e il piumino che la fascia nella ressa sotto il sole non c’entra. «Lo scriva, inizi il pezzo così: i padani sono tanti e incazzati».Tanti lo sono, Mario Borghezio ne vede 100mila, comunque 60mila tutti e alle 11, quando dopo un’ora la testa del corteo arriva sotto alla Madonnina, la coda ancora sta partendo dal Castello. Incazzati, anche. «Monti, Passera e Fornero vi faremo il c... nero» è lo slogan più gettonato. Ma guardi la piazza leghista e nessuno può negare, nessuno lo nega più, che son venuti qui a dirne due «a quegli altri». I maroniani ai cerchisti, e viceversa. Discutono, in un paio di occasioni sotto il palco sfiorano la rissa.
Ma la rappresentazione plastica di una cesura che ormai dai colonnelli ha raggiunto la base è quel doppio cordone di sicurezza che circonda i big. Un servizio d’ordine degno degli anni Settanta e non è la Milano di Pisapia a preoccupare. A preoccupare sono loro, i militanti. Così tanto che da via Bellerio è arrivata una chiamata a tutte le sezioni: serve gente esperta, bisogna fare un recinto di protezione. «Temono contestazioni per queste divisioni interne » dice uno degli armadi reclutati, ma guai a uscire dall’anonimato, ché con i «pennivendoli» non bisognerebbe neppure parlare. Dice Borghezio che «oggi finalmente Bossi è tornato a camminare fra la sua gente, dimostrando anche fisicamente che la Lega è ancora sua». Ma non è vero, se Bossi fra la sua gente è costretto a camminare così, protetto e lontano, perché il corteo vero, quello dei trattori e delle teste da vichingo, è dietro e il Senatùr nemmeno lo vede.
Maroni arriva per primo, «non sei solo» gli urlano. Il capo arriva che Bobo è già partito. Raggiunge lo striscione che dice: «Un popolo un destino, Padania libera». Il messaggio che il Senatùr vuol dare è quello,l’unità,e infatti si piazza fra Maroni e Reguzzoni, le due facce di questa guerra. E poi Francesco Speroni e Rosi Mauro, Roberto Cota e Luca Zaia. Nessuno che si rivolga la parola nemmeno per sbaglio. Cantano, quello sì, «libertà, libertà», come un mantra.E poi eccola, la piazza del Duomo. È così piena che non si cammina, ma è divisa a metà. «Noi siamo tutti per gli ideali della Lega, ma queste divisioni sono sotto gli occhi di tutti» ammette Walter Moraldo dell’Ispra.
La parola d’ordine è congressi. Quelli locali, subito. Quello federale no, «se andiamo a contarci in questo clima è finita». Fiorenza Pianezze ha portato da queste parti la sua settantina d’anni da Belluno, perché «mi prende il cuore questa guerra. Bossi ci ha lasciato la pelle per noi, ma Maroni che ha fatto?». Pietro Fuscone viene da Forlì, regge un cartello che dice tutto: «Cerchio tragico, salviamo il soldato Bossi». Passa davanti alla Rosi Mauro e si scopre la pelata: «Per la chioma non mi possono tirare. Vogliamo tanto la libertà e poi non siamo liberi di dire la nostra?».
C’è chi consiglia di tornare alla politica, Mirko Lazzari fa il consigliere comunale a Manerbio, in quel di Bologna, e la vede rosso-verde: «Ma pensiamo a togliere di mezzo i comunisti,va’».Vallo a dire ai giovani di «Terra Insubre», che guai a dire una parola contro Bobo. «Ogni frutto ha la sua stagione, Bossi adesso farebbe bene a scegliere chi dovrà guidare la Lega dopo di lui » ragiona Lucia Zorzan. E chi, Renzo il Trota? «Ma va, candidarlo è stato un errore del capo!». «Vero, ma neppure Maroni: non è un leader, cerca solo le cadreghe » le risponde Paolo Nizzolo.
Guai. «Non dire cazzate e non parlare coi giornalisti! » si fanno avanti gli insubri e il tono è ancor meno conciliante delle parole. Cosìconcentrati che non prendono nemmeno a botte Antonino Monteleone, l’inviato di Piazza pulita che compra una felpa per chiedere lo scontrino e provocare: «Non eravate contro l’evasione fiscale?». Il resto sono i simboli. Le bandiere della Tanzania, per quella storiaccia di investimenti del tesoriere Francesco Belsito, il lato economico del cerchio magico. Le fascette dei «barbari sognanti», il simbolo dei maroniani che Matteo Salvini sventola pure dal palco a fine comizio, incurante della richiesta di pace di Bossi. Quei fischi al capo quando cita la Mauro invece di dare la parola a Maroni.
Per fortuna c’è l’ascia celtica di Borghezio: una
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