Usura, pestaggi e ricatti: ecco la Gomorra veneta

La trascrizione delle intercettazioni non è sufficiente a far respirare il clima di terrore trapiantato in Veneto dai camorristi di Gomorra. In una delle oltre 400 pagine di ordinanza di custodia a carico di 29 persone, preparata dal gip Luca Marini su richiesta del pm antimafia Roberto Terzo, accanto al virgolettato riferito ai carnefici casalesi e ai vari piccoli imprenditori a cui stava per essere sfilata una vita di sacrifici a colpi di prestiti ad usura, estorsioni, minacce e botte, i carabinieri di Vicenza e il Dipartimento investigativo antimafia di Padova hanno ritenuto opportuno aggiungere una nota: «Vengono registrati gli inconfondibili rumori degli schiaffi».
Il capo della banda era Mario Crisci, il dottore, come lo chiamavano tutti. Poi, gerarchicamente, si scendeva in una struttura piramidale che passava per i contabili, tra cui un commercialista vicentino, fino ai manovali, i picchiatori, compreso un albanese che metteva paura solo a vederlo. Lo schema d’ingresso in Veneto ci ha pensato la crisi economica a disegnarlo: piccole imprese indebitate e decotte, debiti che crescono, banche che non finanziano e camorristi che si presentano con pacchi di soldi disposti ad «aiutare» imprenditori che, spinti dalla disperazione, accettano di consegnarsi mani e piedi a un gioco di usura a tassi folli, fino al 200%, che ha come obiettivo finale la cessione delle quote societarie e l’inserimento nei gangli vitali dell’economia del Nord-est da parte della malavita.
«Devo fargli uscire la merda di bocca - grida un delinquente parlando col capo Crisci -. Te lo giuro su mio figlio Mario, è anno nuovo... ti ho giurato sui miei figli che prenderanno le botte tutti, ora ti faccio il film di B. mentre Alessandro gli schiatta la testa, non ti preoccupare». Non saranno purtroppo parole a vanvera. Alberto B., padovano, è uno degli imprenditori che proverà sulla propria pelle cosa vuol dire non riuscire a pagare i criminali. «Ricomincia daccapo - ordina Crisci al telefono a un picchiatore dopo una prima razione di botte - perché questo non ha capito proprio niente. Rispiegaglielo un’altra volta e me lo ripassi, dopo che lo hai rifatto me lo ripassi. Dai comincia... fai cominciare Alessandro (un altro picchiatore) divertitevi un po’...».
È qui che i carabinieri annotano il rumore degli schiaffi. Piovono minacce anche per i familiari e a quel punto, al telefono, il povero imprenditore arriva a supplicare il «dottore»: «Mario, ascolta, ve lo chiedo in ginocchio che ho ancora bisogno di qualche giorno... la prossima settimana i soldi ve li do». È una tattica già usata per molte altre imprese: nessuno riesce a pagare simili interessi e, alla fine, non resta che mettersi d’accordo cedendo le quote societarie. Anche perché, di fronte alle preghiere del malcapitato, il capo della banda risponde senza pietà: «Se non vai al lavoro Alessandro ti viene a cercare. Tu sai quante pagine di precedenti ha?». E piuttosto di subire altri pestaggi, piuttosto di mettere a repentaglio la vita e la serenità dei familiari, ecco che Gomorra fa il suo ingresso in società.

I capitali costituiti con i proventi dell’attività criminosa vengono iniettati in queste imprese defunte, che riprendono miracolosamente vita e s’insinuano nel tessuto economico sano del Veneto, alterando appalti, facendo saltare il banco.

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