Valutazione degli alunni: ogni scuola fa ciò che vuole

Ancora dubbi tra gli insegnanti su come stilare il «portfolio»

Augusto Pozzoli

Primo quadrimestre alla fine nella scuola di base: in che modo le famiglie verranno informate sul lavoro svolto dai figli in classe e sui risultati raggiunti? Da quest’anno, in base alla riforma Moratti, doveva entrare in vigore il portfolio, un vero e proprio dossier predisposto dai docenti anche con l’intervento dei genitori in cui doveva essere documentato il lavoro svolto e come l’alunno aveva risposto alle sollecitazioni degli insegnanti. Il tutto sintetizzato in una scheda di cui il Miur (ministero Istruzione, Università e ricerca) aveva fornito un modello ufficiale. Un’innovazione che lo stesso Miur ha cercato di sostenere aprendo anche sul proprio sito a cui le scuole potevano rivolgersi per chiarire dubbi e perplessità.
In questi mesi si contano complessivamente 115 richieste di chiarimenti sulla circolare 84 dello scorso 10 novembre in cui si disponeva la nuova modalità per valutare i livelli di apprendimento degli alunni. Non tutte le obiezioni sembrano tuttavia che siano state superate, nemmeno durante un recente confronto fra i responsabili ministeriali e le organizzazioni sindacali della scuola. Conclusione: nella scuola ciascuno si sta comportando come vuole, e di fatto, almeno nelle scuole milanesi, nei primi giorni di febbraio il portfolio sarà una rarità. Per lo più, insomma, le famiglie riceveranno la solita scheda.
Ma anche in questo caso non mancano problemi e polemiche su due punti previsti dalla scheda ministeriale: il giudizio sui risultati raggiunti dall’alunno in religione e un giudizio sul comportamento. La contestazione, così come era avvenuto in occasione della somministrazione dei test per la verifica della preparazione degli alunni gestita dall’Invalsi, l’agenzia nazionale a cui è affidato il compito di valutare il sistema scolastico, ancora una volta viene sostenuta con particolare asprezza dalla fascia di docenti che fa riferimento a Retescuole. Si sostiene in pratica che essendo l’insegnamento della religione cattolica facoltativo inserirne il voto potrebbe creare discriminazione all’interno delle classi tra chi ha scelto di seguire questo insegnamento e chi invece ha preferito rinunciarvi. Chiaro il riferimento non solo ai bambini italiani provenienti da famiglie laiche, ma soprattutto ai figli di immigrati di religione diversa da quella cattolica.
Quanto al giudizio sul comportamento si ritiene sia un modo per introdurre nuovamente anche tra i bambini il voto di condotta. Si tratta in definitiva di una polemica a sfondo ideologico che peraltro non trova un consenso di vaste dimensioni.

Soprattutto fra i dirigenti scolastici per cui queste polemiche finiscono per creare tensioni nelle riunioni dei collegi dei docenti a scapito della serenità necessaria per fronteggiare i problemi che contano nella gestione delle scuole.

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