La vendetta della sinistra orfana della Fiat "amica"

Con Marchionne l’azienda ha reciso i vecchi legami politici. E ora i democratici, "Repubblica" e la Cgil la attaccano per non aver sostenuto la Bresso in Piemonte

Perché Repubblica, a ridosso delle Regionali, ha portato un massiccio attacco alla Fiat, accusandola di avere un piano che prevede il licenziamento di cinquemila addetti in Italia, di cui una parte sostanziale a Torino, e di voler spostare l’«epicentro» fuori dall’Italia? Sergio Marchionne, terminato il consiglio di amministrazione della Fiat, ha smentito tale piano, infuriandosi per l’ingiustificato «tiro al bersaglio», ma mentre il capo della Cgil Guglielmo Epifani reiterava l’attacco, Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, reiterava le accuse a Marchionne, criticandolo perché ritiene suo dovere cercare di dare dividendi agli azionisti. L’altroieri su Il Corriere della Sera, accanto a una sintesi della relazione di Marchionne all’assemblea degli azionisti Fiat, che spiegava le sue ragioni, c’era un articolo dell’economista Giulio Sapelli, editorialista del Corriere, che descriveva Sergio Marchionne come «un uomo del futuro che rischia di guardare al passato», e lo rimproverava di «avere attaccato tanto la politica italiana quanto i sindacati, quasi che non comprendesse la centralità che tanto i gruppi politici quanto i rappresentanti dei lavoratori assumono nei momenti di ristrutturazione industriale di questo Paese».
Sennonché ieri il capo della Cisl Raffaele Bonanni e quello della Uil Luigi Angeletti si sono dissociati da Epifani, sostenendo che occorre dialogare con Marchionne per lo sviluppo positivo della Fiat nell’economia italiana. Angeletti si è spinto più in là e ha detto che molti di quelli che criticano Marchionne viaggiano con un’auto straniera e che se metà degli italiani, anziché solo il 30%, comprassero auto nazionali, come fanno i francesi e i tedeschi, questi problemi sarebbero meno gravi.
La Stampa di Torino, che appartiene alla Fiat, e che tradizionalmente si batte per la sinistra, ha sorvolato su questa polemica e sulle frasi conciliative di Bonanni ed Angeletti. Ha preferito lavarsene le mani, come Ponzio Pilato. Analogo atteggiamento pilatesco ha tenuto ieri Il Sole 24 Ore, che appartiene alla Confindustria. Le ragioni di questi attacchi e di questi silenzi meritano di essere messe in evidenza per chiarire dove stanno i fautori di una sana economia di mercato del progresso economico dell’Italia e i veri difensori dei lavoratori. Si tratta del fatto che la Fiat con Marchionne non sta abbandonando l’Italia come base produttiva, sta abbandonando il legame con la politica italiana. Si attacca Marchionne perché si vorrebbe che la Fiat continuasse a fare politica, sostenendo la sinistra in Piemonte, a livello nazionale e nella Confindustria, in cambio di un’alleanza per i suoi affari e della pace sindacale. Per l’attacco a Marchionne proprio adesso c’è un motivo contingente. La Fiat non è scesa in campo per appoggiare la Bresso nella rielezione a presidente del Piemonte, come la sinistra si aspettava. E d’altra parte il candidato del centrodestra Roberto Cota sta guadagnando simpatie fra i lavoratori della Fiat, in particolare quelli di Mirafiori. Inoltre il Pd aveva bisogno di creare un dramma che non c’è per potere consentire a Pierluigi Bersani di andare ai cancelli di Mirafiori a cercare consensi.
La ragione più generale per questa offensiva è, però, la delusione per il fatto che la Fiat con Marchionne appare avere abbandonato la linea tradizionale dei personaggi che la guidavano e rappresentavano nelle varie sedi l’intreccio fra politica e affari. Ciò rende orfani molti fautori e fruitori di tale politica. Rimpiangono i bei tempi della «concertazione» coi sindacati e con tutti i gruppi politici in cui «tu dai una cosa a me ed io do una cosa a te». Invece la Fiat con Marchionne (e molto probabilmente con John Elkann, che rappresenta l’attuale gruppo di controllo) mira a un disegno industriale multinazionale, senza la vecchia politica italiana. Un disegno che non è radicato nel passato, come scrive Sapelli, ma è orientato al futuro. Renault, che possiede Nissan, sta integrandosi con Daimler, e Volkswagen si è integrata con Toyota. Ciò per unire le forze, per realizzare l’auto elettrica. Per questo scopo Marchionne punta su Chrysler e sul programma Usa di finanziamento delle energie favorevoli all’ambiente.

Se la Fiat diventerà una multinazionale del made in Italy che non fa politica, ma unisce il know-how italiano con quello americano, e se la politica industriale sarà basata non sull’assistenzialismo, ma sulla ricerca scientifica e tecnologica e sulla bassa pressione fiscale sulle imprese, ciò gioverà molto di più non solo agli azionisti, ma soprattutto ai lavoratori dei luoghi dove opera la Fiat e ai loro figli che non la linea tradizionale, spesata dal contribuente.

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