Venezia, Leone d’oro a Lasseter Il rivoluzionario del "cartone"

Premio alla carriera all’inventore dell’animazione al computer: "Non sono un fanatico del digitale. L’importante è chi sei, non cosa usi". Quattordici anni di successi: da Toy Story a Wall-E. Il Sud America di Oliver Stone non è così nemico degli States

Venezia, Leone d’oro a Lasseter 
Il rivoluzionario del "cartone"

Venezia - Disneyland al Lido per un giorno, lo stesso in cui Michael Moore porta alla Mostra la sua America diseredata e vampirizzata da Wall Street. Succede alla Mostra, e va bene così. Dovevate esserci. Davanti al vecchio Palazzo del cinema centinaia di bambini urlanti, pupazzi, pupazzetti e pupazzoni a grandezza d’uomo, migliaia di palloncini colorati, come quelli che fanno volare la casa di Up, musiche a volume pazzesco, archi giganteschi di ogni colore. Tutto per festeggiare il Leone d’oro alla carriera conferito a John Lasseter, il mago americano dei cartoon, e alla sua Pixar, dal 2006 parte integrante della Disney.

«Lasseter come Raffaello», teorizza il direttore Marco Müller, magari esagerando un po’ nel paragone con le botteghe rinascimentali. Ma certo l’inventore dell’animazione digitale, l’artista creativo cui si devono film come Toy Story, Alla ricerca di Nemo, Monsters, Gli incredibili, Ratatouille, ha la stoffa del visionario capace di intrecciare sogni infantili e affari planetari, tecnologia d’avanguardia e storie universali. Cinquantadue anni, pacioccone, una moglie «consigliori», due figli e una collezione di camicie hawaiane, Lasseter ha portato alla Mostra due primizie assolute: 3 minuti del nuovo Toy Story 3, ancora in lavorazione, e 10 di The princess and the frog, il film natalizio della casa. L’uno è il trionfo dell’animazione digitale, l’altro segna il ritorno della Disney all’animazione tradizionale, disegnata a mano. «Nessuno ha visto queste immagini», ripete almeno dieci volte dal palco della Sala Grande, entusiasta come un bambino e contornato dai suoi 4 moschettieri della Pixar.

Poco prima aveva ricevuto il Leone d’oro dalle mani di George Lucas, sì il regista di Guerre stellari. Stivali neri da cowboy su abito grigio, Lucas, ormai uguale agli orsetti della sua mitica saga stellare, ha speso parole affettuose nei confronti dell’ex collaboratore, concludendo: «Walt Disney sarebbe felice di vedere tutto questo».
In effetti, Lasseter, oggi tra gli uomini più ricchi e rispettati di Hollywood, ha portato l’animazione digitale a livelli forse mai visti: per fantasia, cromatismi, audacia. «Il nostro sogno è semplice. Far divertire il pubblico di tutto il mondo, e non solo i bambini», urla al microfono, chiamando l’applauso. Visto da vicino assomiglia un po’ ai personaggi dei suoi film, di sicuro in Woody e Buzz, i giocattoli di Toy Story, ha messo molto di sé. «Facciamo i film che ci piace vedere, partiamo sempre da noi», spiega ai giornalisti. Insomma hardware e software contano, ma non quanto la storia, che «deve essere in equilibrio tra umorismo ed emozione», e così i personaggi, non importa se sono pesciolini, mostri o automobili antropomorfizzati. «L'ideale è che per ogni sorriso ci sia una lacrima», aggiunge. Gli argomenti seri non sono tabù, ma affrontati con «note leggere, senza barare, perché i bambini sono più scaltri di quanto si pensi».

Gli chiedono perché la Pixar produca tanti seguiti (sottinteso: mancanza di idee?). Lui non raccoglie la provocazione, ma cita i suoi due modelli di sequel perfetto: Il Padrino parte II e L’impero colpisce ancora. «Sì, siamo orgogliosi di riprendere le nostre storie, aggiungendo ogni volta qualcosa di nuovo. L’importante è rispettare le tre regole auree, che sono: 1) una storia che avvince; 2) personaggi attraenti e fantastici, anche i cattivi; 3) un mondo credibile».

Oggi la Pixar è uno studio che dà da vivere, e bene, a 250 registi e 1.000 tra tecnici e artisti. E pensare che all'inizio Lasseter, dopo un’esperienza da stagista alla Disney, dove disegnava a penna e matita, dovette faticare per farsi assumere alla Lucasfilm, nel 1979. Il creatore di Guerre stellari cercava un tecnico capace di sviluppare una nuova generazione di effetti speciali digitali, non un regista di cartoni animati, e la scelta cadde un po’ per caso su quel ragazzo semisconosciuto. Ma la svolta arriva nel 1986, quando Steve Jobs, della Apple, acquista per 10 milioni di dollari la divisione computer condotta da Lasseter per Lucas: cinque anni dopo nasce la Pixar, nel 1995 esce Toy Story e da allora la compagnia non sbaglierà un colpo.

Confessa: «Non sono un

fanatico del digitale. Amo tutte le tecniche: argilla, pupazzi, disegni a mano, motion capture. L’importante è non farsi tiranneggiare dalla tecnologia. Chi sei, non cosa usi: questo fa la differenza». Difficile dargli torto.

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