La vera macchina del fango

Diceva uno scandalizzato Fabrizio Bentivoglio nel film-cult Turné: «Tanto qui tutti scopano con tutti, no?». Ebbene sì, signore e signori. Fino a ieri ve lo siete solo immaginati, adesso ve lo raccontiamo noi giornalisti. Tutto merito di un’inchiesta, quella della Procura di Milano sul caso Ruby, dagli effetti collaterali trivial. Per dire. Accendi la radio e ci trovi un Vittorio Sgarbi in versione lord Byron che urla: «Se Vendola lo prende in c... sono c... suoi, e se Berlusconi scopa a casa sua sono c... suoi». Sfogli i quotidiani e ci trovi interviste a donne maggiorenni non proprio madame Bovary alle prese con le seguenti domande: ha fatto sesso col premier? Se sì, ha preso soldi? E nessuno che chieda all’intervistatore: ma che ti frega?
E invece pare che ce ne debba fregare. Pare si sia sdoganata la morbosità, e allora adesso si potranno riempire paginate chiedendo alla ragazza che fa la baby sitter se sia vero che va a letto col parlamentare centrista, alla deputata democratica se davvero è l’amante di uno dei leader del suo partito, alla pletora di attrici, giornaliste e scrittrici di area o dei salotti se corrisponde a verità che sono state vittime di almeno un paio di numeri uno del centrosinistra, alla conduttrice televisiva se abbia una relazione col noto esponente del centrodestra. Magari piazzando un cronista che un tempo si occupava di giudiziaria sotto a quell’alberghetto di poche stanze e molto via vai di parlamentari nella piazzetta dietro a via del Corso, e poi ironizzavano sulla caccia alla cucina Scavolini. Vale tutto. Vale l’intervista che Repubblica ha fatto a Marysthell Garcia Palanco, 25 anni, professione non escort ma soubrette, per sapere non di Ruby, la minorenne, ma se lei, maggiorenne, abbia avuto «rapporti intimi col premier». Vale che sul Corsera un filosofo come Tullio Gregory scriva che no, a lui non gliene importa dei risvolti giudiziari sulla prostituzione minorile a casa del premier, lui vuol sapere se ora «gli italiani debbano guardare ad Arcore come icona del buon gusto».
C’era una volta il giornalismo d’inchiesta. Quello in cui la domanda era: «Lei è stato corrotto dal tal ministro o dal talaltro politico?». Quello che poi a un certo punto è scomparso e tutti a rammaricarsi: il giornalismo d’inchiesta in Italia non esiste più, ripetevano affranti politologi nei salotti e ipocriti giornalisti che invece di fare inchiesta vendevano libri sull’inchiesta che non si fa più. E quello che adesso rieccolo spuntare, però aggiornato ai tempi.
Se fosse un lamento avrebbe il tono lagnoso del Massimo Troisi in Pensavo fosse amore invece era un calesse: «Ma pecché siete tutti così sinceri con me, che cosa vi ho fatto di male, io? Queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che si vanno dette alle spalle dell’interessato. Sono sempre state dette alle spalle».
Era così. In un tempo mica tanto lontano ognuno faceva i casi suoi, vox populi vox dei poi le cose si venivano a sapere, i paparazzi le fotografavano e così le trovavi sui settimanali di gossip, categoria esistente appunto perché era lì e non altrove che si dava conto del gossip. Non a caso, Bobo Craxi ha potuto risentirsi qualche anno fa con Bruno Vespa per quel capitolo di L’amore e il potere che dava conto delle amanti di papà Bettino, da Ania Pieroni a Patrizia Caselli, vizi privati che pure raccontavano pubbliche virtù.
In principio fu il mielismo, da Paolo Mieli, che alla sua prima direzione del Corsera introdusse il pettegolezzo applicato alla politica, inventando un nuovo tipo di giornalismo. Effetti collaterali sul lungo periodo pochi ancorché di cattivo gusto, fra gli aneddoti quello che Candida Morvillo direttore di Novella 2000 raccontava un po’ di tempo fa, dell’Alessandra Mussolini che ci tenne a salutare pubblicamente Fini con un irriverente «presidente, complimenti per il “bambolotto”!», riferendosi alla di lui patta immortalata al mare in compagnia di Elisabetta Tulliani. Poi è venuta la macchina del fango, lo sputtanamento travestito, appunto, da inchiesta. Con conseguenze un po’ più gravi, non fosse altro che per quel contorno di accuse e contro-accuse di tutti a rinfacciarsi: il dossieraggio sarà il vostro. Dalle dieci domande alle dieci bugie il passo è stato breve ed ecco la nuova frontiera del giornalismo d’inchiesta, quella che si potrebbe ribattezzare «del chiodo fisso», mutande brandite come clave e sempre l’ossessione: «Lei ha fatto sesso con?».


Tutto vale ma c’è un ma. Ed è quel che resterà dalle macerie: hai fatto sesso con? Ogni domanda avrà una risposta, tranne una: ma chi se ne frega? Ancora Bentivoglio in Turné: «Bugie, bugie, non fate altro che raccontarvi bugie...».

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