La vera ricetta? Andare in Germania e vendere in Italia

I salari di chi fabbrica auto dipendono dalla produttività Non èuna richiesta da Terzo mondo. Ma la Cgil non ci sta

La dichiarazione di Sergio Marchionne per cui senza le fab­briche in Italia la Fiat farebbe meglio ha suscitato sdegno, in particolare in gran parte della si­nistra e in Gianfranco Fini, che accusa Marchionne di essere più canadese che italiano. Criti­che e accuse infondate. La Fiat fabbricando auto perde in Italia e guadagna all’estero.E solo tra­mite le aziende estere il suo bi­lancio è attivo. Ora, nessun am­ministratore delegato di società per azioni quotate in Borsa, che deve rispondere al mercato azio­nario e obbligazionario e ha bi­sogno di credito bancario, può continuare a gestire in perdita una parte delle sue imprese, se è possibile renderle redditizie con una diversa ubicazione.

Il tempo degli aiuti pubblici per ri­p­ianare le perdite e fare fatturati a spese del contribuente è fini­to. Pertanto o si accetta il con­tratto alla Marchionne che ren­de economico il suo progetto di investimento «Fab­brica Italia» oppure l’amministratore delegato di Fiat au­to deve spostare le aziende in perdita all’estero, mante­nendo in Italia solo l’essenziale.Che co­sa si può obbiettare a questo ragiona­mento elementare? È un ragionamento «canadese» o da ra­gionieri che fanno quattro conti? Qual­cuno dice: ma lui vuole produrre le auto in Polo­nia o in Brasile o Slovenia, dove il lavoro costa meno.

È vero. Ma attenzione, anche produrre negli Usa con la Chry­sler, fra non molto per la Fiat sa­rà più redditizio che in Italia. Certo, sono macchinone di mo­delli Usa. E alla Fiat converreb­be non solo produrre in Polo­nia, ma anche in Germania e dalla Germania esportarle in Ita­lia. Infatti la Germania è estre­mamente competitiva in tutta la gamma di autovetture. Non solo in quelle di grande cilindra­ta, come anche in quelle familia­ri per l’utente medio. La Germa­nia nel 2008 produceva 5,4 mi­lioni di auto e l’Italia 950mila. La Germania ha 80 milioni di abi­tanti e l’Italia 60. Ma lo squili­brio f­ra la sua produzione di au­to e la nostra resta molto alto an­che in rapporto alla popolazio­ne. In Germania nel 2008 si pro­ducevano 6,75 a­uto per 100 abi­tanti e in Italia 1,5 per 100 abitan­ti. Nel 2009 la produzione di au­to in Germania è st­ata di 5,35 mi­lioni di auto mentre in Italia è ca-lata a 650mila.

Nel boom tede­sco di quest’anno, trainato dal­l’esportazione, ma anche dalla produzione per il mercato inter­no, l’auto è nelle prime posizio­ni. In Germania si annuncia una crescita del Pil di oltre il 3% ed in Italia di 1,2% che, tenuto conto di vari fattori di economia sommersa può arrivare all’1,5. Nel divario non c’è solo la di­versa capacità di competere del nostro Nord rispetto al nostro Sud, che è stata sottolineata da Vittorio Feltri, ma anche il fatto che l’industria dell’auto in Italia non è competitiva e in Germa­nia lo è. E del resto il problema di competitività che Sergio Mar­chionne deve affrontare con il progetto «Fabbrica Italia» ri­guarda in larga misura proprio l’Italia meridionale in cui sono ubicati gli stabilimenti di Melfi, di Pomigliano d’Arco, di Cassi­no, di Termoli.

La ragione per cui la Germania ha l’economia più dinamica del mondo indu­s­triale e il tasso di disoccupazio­ne più basso in Europa è che da qualche anno ha adottato i con­­tratti aziendali basati sulla pro­duttività, che contemplano il la­voro notturno, gli orari straordi­nari, il contenimento delle as­senze pretestuose e l’aumento della flessibilità per realizzare il massimo utilizzo degli impianti e quindi ridurre il costo per uni­tà di prodotto. Non sono richieste adatte a la­voratori del terzo mondo. Si trat­ta­delle modalità di lavoro adot­tate a Detroit e in Germania. Ser­gio Marchionne, per la Fiat, chiede precisamente di far fare agli operai italiani quello che fanno gli operai tedeschi e non propone alcun taglio di salari.

Il suo schema anzi comporta au­menti di guadagni in rapporto alla produttività. Il governo Ber­lusconi appoggia la politica dei salari basati sulla produttività e così pure la Confindustria. I sin­dacati liberi la sostengono enfa­tizzando i compensi per la pro­duttività, cioè in base al risulta­to. Invece alla Cgil dicono: ci sta­remmo se i lavoratori italiani avessero paghe eguali ai lavora­tori tedeschi. Questo vuol dire mettere il carro davanti ai buoi.

In Germania la produttività è no­tevolmente più alta che in Italia e ciò consente retribuzioni mag­giori con conseguenti utili. Pri­ma si produce, poi si distribui­sce. Questa è la regola, non solo in Canada, ma ovunque.

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