La vera storia dell'Ingegnere

Nell’era Berlusconi il suo gruppo è cresciuto del 145%. Nel 1986 Mondadori era in crisi. L'allora patron dell'Olivetti entrò nella società come socio, poi volle scalarla tradendo l'accordo tra galantuomini

La vera storia dell'Ingegnere

Nel Fantasma del palcoscenico, al protagonista, il cantautore Winslow, viene rubato tutto. Prima la sua musica, che diventa opera di successo mentre lui, incastrato, finisce in galera a vita. Poi, nel tentativo di rifarsi, perde anche la donna che ama e viene sfigurato dall’acido. Altro che «perdita di chance».

Ma senza spingersi fin qui, sono tanti gli esempi, anche nella realtà, di chi subisce un sopruso economicamente rilevante e per questo finisce in malora. Se poi, anche vent’anni dopo, una sentenza civile gli rende giustizia, con tanto di risarcimento miliardario, non c’è che gioirne. Ma non è il caso di Carlo De Benedetti e della Cir, la holding a capo dei suoi affari. Non è il caso perché non stiamo parlando di un imprenditore che, a causa di un’ingiustizia presunta (verrà determinata nei successivi gradi di giudizio), è stato rovinato. Anzi: stiamo parlando di uno degli uomini più ricchi e più influenti d’Italia. La cui ricchezza, così come il potere, sono cresciuti e hanno continuato a proliferare senza soluzione di continuità. Anche dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Anche durante i governi «nemici» di centrodestra che hanno a lungo guidato il Paese in questi ultimi 15 anni di storia Italiana. E, si badi bene, non stiamo parlando di affari nel campo degli elettrodomestici, o delle calzature (con tutto il rispetto, naturalmente). Ma parliamo di settori strategici per una nazione quali la telefonia (Omnitel, poi venduta a Vodafone), l’energia, l’editoria. Strategici e politici, dunque, come gli ex monopoli o il secondo quotidiano più venduto in Italia, la Repubblica.
Si può partire dai grafici, per esempio: se si va a guardare il titolo Cir (holding che oggi controlla i pacchetti di maggioranza di Repubblica, Sorgenia, Sogefi), e il suo andamento nel periodo 1993 (dalla discesa in campo di Berlusconi) a oggi, si ricava una crescita del 145%, da un valore di 500-520 milioni a quello attuale di 1,27 miliardi, al netto di tre crisi economiche e l’attacco alle due Torri.

Nello stesso periodo la berlusconiana Mondadori (pietra dello scandalo), contingentata nella crescita dai limiti posti dalla Legge Mammì sull’editoria, è passata da 850 a 934 milioni di capitalizzazione di Borsa, il 9% in più. Il gruppo Espresso, confrontabile solo dal 1995, passa da 200 a 770 milioni (+285%), mentre per esempio Mediaset, che al momento della quotazione del 1996 valeva il corrispondente attuale di 4,3 miliardi di euro, oggi ne vale 5,6: il 30% in più. Sia chiaro: questi sono conti fatti a posteriori, dunque sulla base di quotazioni rettificate rispetto alla situazione attuale. Non tengono conto, cioè, di molte varianti intervenute nel periodo, quali per esempio i dividendi. Ma la sostanza è questa: nulla ha impedito alle imprese del gruppo Cir di crescere e prosperare. Anche nell’era del Biscione.

Nel frattempo la Cir è diventata un colosso dell’energia: ha partecipato alla privatizzazione delle Genco Enel, aggiudicandosi Interpower, con la quale ha costituito l’attuale gruppo Sorgenia, che in poco tempo è arrivato al 10% del mercato, con circa 30 miliardi di kilowattore prodotte. All’opera ha contribuito senz’altro l’attenta gestione di Rodolfo De Benedetti - figlio dell’ingegnere che, a differenza del padre, nutre maggiore passione per l’industria che per la finanza -, ma difficile pensare a un successo di questo tipo, nel settore dell’energia, in presenza di un clima politico particolarmente sfavorevole, se non persecutorio, come quello descritto spesso dalle testate del gruppo Espresso-Repubblica. Che, come abbiamo visto, hanno continuato a espandersi anch’esse, non senza soddisfazioni economiche per il suo azionista. E che nessuno si metta di traverso.
È accaduto all’ultima creatura dell’Ingegnere, M&C, Management & Capitali, un fondo per ristrutturare aziende decotte nel quale, a un certo punto, avrebbe dovuto entrare anche il Cavaliere. Non se n’è fatto nulla. E in realtà la società M&C non ha combinato molto.

Ma guai a toccarla: qualcuno ci ha provato, l’estate scorsa, scalando M&C in Borsa. L’Ingegnere non ha gradito, reagendo con tale violenza (finanziaria), da richiamare l’attenzione della Consob. Ma alla fine ha vinto lui, schiacciando gli avversari. Chi tocca i fili, muore.

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