Nel Fantasma del palcoscenico, al protagonista, il cantautore Winslow, viene rubato tutto. Prima la sua musica, che diventa opera di successo mentre lui, incastrato, finisce in galera a vita. Poi, nel tentativo di rifarsi, perde anche la donna che ama e viene sfigurato dall’acido. Altro che «perdita di chance».
Ma senza spingersi fin qui, sono tanti gli esempi, anche nella realtà, di chi subisce un sopruso economicamente rilevante e per questo finisce in malora. Se poi, anche vent’anni dopo, una sentenza civile gli rende giustizia, con tanto di risarcimento miliardario, non c’è che gioirne. Ma non è il caso di Carlo De Benedetti e della Cir, la holding a capo dei suoi affari. Non è il caso perché non stiamo parlando di un imprenditore che, a causa di un’ingiustizia presunta (verrà determinata nei successivi gradi di giudizio), è stato rovinato. Anzi: stiamo parlando di uno degli uomini più ricchi e più influenti d’Italia. La cui ricchezza, così come il potere, sono cresciuti e hanno continuato a proliferare senza soluzione di continuità. Anche dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Anche durante i governi «nemici» di centrodestra che hanno a lungo guidato il Paese in questi ultimi 15 anni di storia Italiana. E, si badi bene, non stiamo parlando di affari nel campo degli elettrodomestici, o delle calzature (con tutto il rispetto, naturalmente). Ma parliamo di settori strategici per una nazione quali la telefonia (Omnitel, poi venduta a Vodafone), l’energia, l’editoria. Strategici e politici, dunque, come gli ex monopoli o il secondo quotidiano più venduto in Italia, la Repubblica.
Si può partire dai grafici, per esempio: se si va a guardare il titolo Cir (holding che oggi controlla i pacchetti di maggioranza di Repubblica, Sorgenia, Sogefi), e il suo andamento nel periodo 1993 (dalla discesa in campo di Berlusconi) a oggi, si ricava una crescita del 145%, da un valore di 500-520 milioni a quello attuale di 1,27 miliardi, al netto di tre crisi economiche e l’attacco alle due Torri.
Nello stesso periodo la berlusconiana Mondadori (pietra dello scandalo), contingentata nella crescita dai limiti posti dalla Legge Mammì sull’editoria, è passata da 850 a 934 milioni di capitalizzazione di Borsa, il 9% in più. Il gruppo Espresso, confrontabile solo dal 1995, passa da 200 a 770 milioni (+285%), mentre per esempio Mediaset, che al momento della quotazione del 1996 valeva il corrispondente attuale di 4,3 miliardi di euro, oggi ne vale 5,6: il 30% in più. Sia chiaro: questi sono conti fatti a posteriori, dunque sulla base di quotazioni rettificate rispetto alla situazione attuale. Non tengono conto, cioè, di molte varianti intervenute nel periodo, quali per esempio i dividendi. Ma la sostanza è questa: nulla ha impedito alle imprese del gruppo Cir di crescere e prosperare. Anche nell’era del Biscione.
Nel frattempo la Cir è diventata un colosso dell’energia: ha partecipato alla privatizzazione delle Genco Enel, aggiudicandosi Interpower, con la quale ha costituito l’attuale gruppo Sorgenia, che in poco tempo è arrivato al 10% del mercato, con circa 30 miliardi di kilowattore prodotte. All’opera ha contribuito senz’altro l’attenta gestione di Rodolfo De Benedetti - figlio dell’ingegnere che, a differenza del padre, nutre maggiore passione per l’industria che per la finanza -, ma difficile pensare a un successo di questo tipo, nel settore dell’energia, in presenza di un clima politico particolarmente sfavorevole, se non persecutorio, come quello descritto spesso dalle testate del gruppo Espresso-Repubblica. Che, come abbiamo visto, hanno continuato a espandersi anch’esse, non senza soddisfazioni economiche per il suo azionista. E che nessuno si metta di traverso.
È accaduto all’ultima creatura dell’Ingegnere, M&C, Management & Capitali, un fondo per ristrutturare aziende decotte nel quale, a un certo punto, avrebbe dovuto entrare anche il Cavaliere. Non se n’è fatto nulla. E in realtà la società M&C non ha combinato molto.
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