La vita di quell’eterno fanciullo che racconta una storia da sogno

«Fin dal mio primo film mi sono sempre rifiutato di mettere la parole fine. Ma non in nome della delusione che provavo da bambino quando finiva una pellicola. La delusione inevitabile: è finita la festa. Non è per questo. Mi sembrava una vera e propria violenza non solo contro gli spettatori, ma anche contro gli stessi personaggi di cui stai raccontando la storia. Non ci può essere una fine per questi personaggi che comunque continueranno a vivere a tua insaputa, all’insaputa dell’autore...». Così Federico Fellini si confessava in un’intervista televisiva del 1987; ed è partendo da questo «rifiuto della fine» che Italo Moscati ha impostato il suo Fellini & Fellini. Da Rimini a Roma, inquilino a Cinecittà. (Rai-Eri-Ediesse, pagine 230, Euro 14).
Quello che ne emerge è una cavalcata fra le nebbie e oltre: tante stazioni di un unico viaggio sempre in progress, tante tappe di spostamenti, di ricordi e di emozioni, racconto di una storia infinita.
Scrittore e regista, sceneggiatore, autore teatrale, Italo Moscati è un nome che non ha bisogno di presentazioni. Fra i suoi libri basterà ricordare le biografie di Anna Magnani, di Vittorio De Sica, di Alfred Hitchcock, della divina per eccellenza Maria Callas. I suoi film doc sono stati invitati a grandi festival e hanno ottenuto numerosi premi.
Scandito in ventuno corposi capitoli, il libro si apre con le «Location» di un grande regista per poi inoltrarsi fra i suoi «fantasmi», le sue «avventure», il suo essere un «fanciullo eterno», fino a giungere all’«ultimo ciak» e a quel suo perenne sentirsi «l’inquilino di Cinecittà». Una filmografia completa (da I vitelloni a Ginger & Fred) e una bibliografia accurata chiudono il volume che Moscati dedica alla memoria di Tullio Kezich che di Federico Fellini fu grande amico e che della critica cinematografica è stato l’incontrastato interprete di questi ultimi decenni.
In sostanza, Moscati riapre il film di una vita e di una carriera, rimuove, come appunto sarebbe piaciuto al regista, la parola «fine» e racconta a tutto tondo l’artista e i suoi personaggi in cammino.


Grazie a testimonianze dirette, recupero di fonti, lavoro d’archivio, il lettore ritrova un uomo passionale e infantile, sognatore magico eppure a suo modo realista, seduttore ma con il complesso del «macho» italiano, impregnato di psicanalisi e tuttavia privo di complessi di colpa, provinciale all’eccesso e però capace di creare un’italianità comprensibile in ogni angolo del mondo.

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