Vogliono portare in tribunale il Papa più duro con i pedofili

Come previsto, e come già segnalato dal Giornale nei giorni scorsi, in concomitanza con la pubblicazione sul New York Times dei documenti sul caso di padre Murphy, il prete pedofilo americano colpevole di aver compiuto abusi su centinaia di ragazzi sordomuti, sono partite le richieste di portare il Papa a testimoniare nei tribunali americani. Il legale di tre delle vittime, William McMurry, ha presentato una mozione alla Corte distrettuale di Louisville, basandosi proprio sui documenti pubblicati sul quotidiano americano, dai quali si evincerebbe che il Vaticano «abbia scoraggiato la persecuzione legale del clero e incoraggiato il segreto per proteggere la reputazione della Chiesa». In realtà padre Murphy non venne processato canonicamente perché ormai moribondo.
Un’altra richiesta in questo senso arriva dall’avvocato Jessica Arbour, che difende una vittima di padre Ernesto Garcia Rubio, prete cubano trasferito nel 1968 a Miami. L’avvocato, che ha esibito documenti dai quali si evincerebbe una qualche protezione da parte del nunzio apostolico negli Usa nei confronti del sacerdote, accusa Benedetto XVI perché all’epoca era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Gli abusi denunciati avvennero infatti tra il 1985 e il 1987, ma in quel periodo l’ex Sant’Uffizio guidato da Ratzinger non era competente, a meno che non si trattasse di un «crimen sollicitationis», cioè di un caso di uso del sacramento della confessione per fare delle avances sessuali alle vittime.
Nelle polemiche di questi giorni, che non accennano a finire e anzi sembrano moltiplicarsi con l’emersione di vecchi episodi, c’è un paradosso evidente: si cerca di colpire, si tenta di trascinare in tribunale, proprio uno degli ecclesiastici che, da cardinale prima e poi da Papa, ha fatto di più per combattere il fenomeno, anche creando qualche malumore in quanti, sulla base del Diritto canonico, ritenevano che la linea della «tolleranza zero» non rispettasse pienamente le garanzie per l’accusato e la sua presunzione di innocenza. Ma la novità delle ultime ore è rappresentata anche dal delinearsi di responsabilità appartenenti al precedente governo della Chiesa, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Appena tre giorni fa l’arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, ricordando le accuse rivolte al suo predecessore Herman Groer, costretto alle dimissioni nel 1998 a causa di molestie contro alcuni seminaristi avvenute vent’anni prima, ha detto che l’allora Prefetto Ratzinger avrebbe voluto iniziare un’indagine sul porporato austriaco, ma venne frenato in Vaticano. Da chi? Schönborn non lo dice, anche se è noto che Groer godeva dell’appoggio dell’ambiente polacco e dello stesso appartamento pontificio. E non è un caso se queste affermazioni di Schönborn sono state rilanciate da L’Osservatore Romano, che appena il giorno prima invitava a non contrapporre Benedetto XVI al quasi beato predecessore Giovanni Paolo II. È noto che anche nel caso, gravissimo, del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel (capace sia di abusare dei giovani seminaristi, sia di gestire una vita parallela di rapporti con donne dalle quali aveva avuto figli, protetto dal silenzio dei suoi più stretti collaboratori), proprio dalla Curia wojtyliana sono venute protezioni, dovute anche alle potenti amicizie che lo stesso sacerdote messicano aveva coltivato nei sacri palazzi. Giovanni Paolo II, ormai alla fine della sua vita, fu convinto nel novembre 2004, a ricevere Maciel accompagnato da migliaia di Legionari per festeggiare il 60° anniversario del fondatore, mentre il cardinale Ratzinger lo stava indagando e una volta divenuto Papa, avrebbe deciso di metterlo in quarantena riconoscendolo di fatto colpevole pur senza processarlo a motivo dell’età ormai molto avanzata.
Non si può inoltre dimenticare che proprio Ratzinger, per volontà di Wojtyla, curò la promulgazione delle nuove norme sui «delictis gravioribus», avocando all’ex Sant’Uffizio tutti i casi di abusi su minori, dunque anche quelli che non ricadevano nell’abuso della confessione. Sono stati allungati i tempi della prescrizione del reato canonico, facendo decorrere i dieci anni dal compimento dei 18 da parte della vittima. E anche sulla nuova prescrizione la Congregazione per la dottrina della fede sono state concesse con molta facilità delle deroghe, mentre Oltretevere c’è chi pensa persino di abolire del tutto la prescrizione su questo tipo di reati. È stato Ratzinger a installare un gruppo di lavoro che negli ultimi dieci anni ha svolto indagini e seguito migliaia di casi denunciati dalle diocesi in tutto il mondo. È stato Ratzinger ad assicurare la collaborazione delle diocesi con l’autorità giudiziaria.

Non è sempre facile riconoscere questi fatti oggettivi, mentre l’onda dello scandalo travolge la Chiesa, bisogna però ammettere che negli ultimi dieci anni i casi di abuso hanno avuto una considerevole flessione, e che gli strumenti approntati stanno funzionando. Anche se c’è ancora molta strada da fare.

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