Volo cieco

Assemblee dalle quali derivano disagi e cancellazioni di voli fino a domenica, poi lunedì un altro sciopero di 24 ore. Sono queste le ultime iniziative prese dai sindacati dell’Alitalia nell’intento - a quanto asseriscono audacemente i loro comunicati - di far uscire la società dalla gravissima crisi in cui si dibatte. Il presidente della Commissione di garanzia Antonio Martone ha sottolineato, in un intervento, che le modalità dello sciopero sono illegali. Il che sembra non impressionare più di tanto, in una Italia dove l’illegalità è in alcuni ambienti e settori politici fortemente sponsorizzata, i promotori dell’agitazione. (Non è mancata, sull’esempio dei metalmeccanici e di tanti altri dimostranti, una breve occupazione dei binari nella stazione ferroviaria di Fiumicino). Ha anche espresso, Martone, la sua preoccupazione per il danno che subiranno l’azienda e gli utenti. Ma nemmeno questo appare decisivo a piloti, assistenti di volo e personale di terra della compagnia di bandiera.
L’Alitalia vola sì, ma verso la catastrofe. La sua è una lunga agonia accompagnata dagli slogan logori e dai progetti immaginifici delle solite Cgil, Cisl, Uil, Ugl e via dicendo. Per questa situazione d’assoluta emergenza esistono sicuramente delle responsabilità. Nessuna attribuibile a chi ha scelto Alitalia per i suoi viaggi. I passeggeri sono le prime e maggiori vittime d’uno scandalo di disorganizzazione, d’inefficienza e d’inattendibilità che forse ha equivalenti negli Stati centroafricani. Zero colpe anche per il contribuente italiano. Che nel corso di decenni s’è svenato mettendo a disposizione d’una azienda mal gestita e mal servita vagonate prima di miliardi di vecchie lire, poi di euro. Come estremo «cadeau» l’Alitalia potrebbe ricevere la compagnia «Volare». Le regole europee hanno per fortuna limitato e sempre più limiteranno il ricorso a questi aiuti, che per il cittadino sono salassi. Temo tuttavia che nei vertici e soprattutto nei dipendenti il ricordo e il rimpianto dell’età felice in cui i buchi venivano ripianati da Pantalone duri ancora.
È possibile che a suo tempo la dirigenza della compagnia non abbia avuto un piano industriale di successo, può darsi che non l’abbia ancora. Se tuttavia vuole attingere al pensatoio di centrosinistra questa stessa dirigenza ne ricaverà poco o niente. Enrico Gasbarra, presidente della Provincia di Roma, rimprovera all’Alitalia d’essersi sottratta «all’implemento promesso delle rotte su Roma». Con il che la prospettiva d’un disastro si riduce a una questione di rivalità locali, Fiumicino contro Malpensa. Ci vuol altro, ma sospetto che non si sappia bene cosa. Un dato è certo. Gli scioperi recenti e quelli appena deliberati sembrano obbedire alla maramaldesca finalità di uccidere un’Alitalia morta.
Non stiamo parlando, per questa vertenza, di categorie penalizzate economicamente, e in lotta contro l’indigenza. Stiamo parlando di personale qualificato e d’élite che meritoriamente, chi lo nega, ha un buon trattamento. Le riduzioni di personale sono dolorose, ma praticate in tanti settori. La Fiat ha oggi la metà degli operai e impiegati del ’79. Un discorso analogo vale per le ferrovie. Nelle compagnie straniere ci sono stati tagli pesanti, purtroppo ritenuti indispensabili. Meglio la bancarotta - tipo Swissair - che un ridimensionamento? Suppongo che non sia questa l’idea dei sindacati, ma sarà questo, se insistono, il risultato dei loro atti. Il governo sostiene di non poter fare - anche e soprattutto per le regole di Bruxelles - più di ciò che già ha fatto.

Il pensiero dei contribuenti è riassunto nella frase «abbiamo già dato». I passeggeri - o piuttosto aspiranti ad esserlo - sono esasperati. È il momento non di affossare l’Alitalia, ma di rianimarla. Facendo volare i suoi aerei.

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