Il volto criminale (e nascosto) del Novecento

Il secolo del genocidio (Longanesi, a cura di Robert Gellately e Ben Kiern) è un libro che fa rabbrividire. Il linguaggio degli studiosi cui sono dovuti i capitoli del volume rimane asettico, ma gli argomenti da loro trattati mostrano il risvolto più sanguinario, più vile e più turpe di uomini e governi. Si parla di eccidi feroci, di violenze inenarrabili, di deportazioni, di torture, di donne e bambini seviziati. Si parla della distruzione di intere etnie.
Gli esperti si chiedono - e le risposte sono come al solito contraddittorie - se il genocidio appartenga alla modernità, dotata di mezzi di sterminio un tempo inesistenti, o se ne possano essere rintracciate le caratteristiche anche nell’antichità. Nel 1948 l’assemblea dell’Onu - annoverante tra gli Stati membri alcuni fervidi cultori degli ammazzamenti in serie - approvò una definizione del genocidio. «Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale o religioso, come tale: a) Uccisione di membri del gruppo; b) Lesioni gravi all’integrità fisica e mentale di membri del gruppo; c) Il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) Misure miranti a impedire le nascite all’interno del gruppo; e) Trasferimento forzato di bambini del gruppo ad altri gruppi».
Purtroppo queste pagine dimostrano che in ogni Paese, se esistono le condizioni propizie - un’ondata di razzismo, l’esplodere di fanatismi religiosi o ideologici, il proposito d’uno Stato d’annichilire una minoranza ingombrante con la pulizia etnica, la conquista coloniale - è possibile trovare un gran numero di individui disposti a essere carnefici. L’importante, per chi vuole il genocidio, è trovare i mezzi tecnici capaci di realizzarlo, le motivazioni seguiranno.
Ci si occupa diffusamente, nel volume, della Shoah e delle purghe staliniane. Ma viene dato rilievo a tragedie immani che sono rimaste abbastanza occultate nelle pieghe della storia, e per le quali solo pochi si sono mossi. Così, ad esempio, l’invasione indonesiana di Timor, con circa 200mila morti su una popolazione di 600mila persone. La Cambogia e l’Etiopia erano state tra i firmatari della convenzione sul genocidio cui ho accennato. Il che non impedì loro d’essere genocidiarie in forma spaventosa. Della Cambogia, e del regime di Pol Pot, si sa molto. Assai meno reclamizzate sono invece le efferatezze, in Etiopia, del dittatore Menghistu. Il più delle volte le persecuzioni elencate ne Il secolo del genocidio hanno per obbiettivo quella che i nazisti qualificarono come «soluzione finale»: estirpare dalla faccia della terra un popolo.
Poiché il termine genocidio offre margine a interpretazioni diverse, e poiché le atrocità del genocidio hanno sempre implicazioni politiche, càpita sovente che per determinati episodi il genocidio sia da una parte affermato e dall’altra rifiutato. È in particolare il caso armeno. Il titolo Il secolo del genocidio deriva proprio dalle stragi di armeni che in Turchia si verificarono durante la Grande guerra e che alcuni considerano il primo genocidio del ’900.

Ma la Turchia ufficiale non ci sta (tuttavia c’è anche in Turchia chi ha posizioni meno negazioniste) e ha addirittura istituito una commissione mirante a dimostrare che il genocidio armeno non ci fu, e che si trattò invece d’uno scontro tra forze armate nazionali e forze insurrezionali. La questione armena è di vitale importanza politica: infatti l’Ue ha posto il riconoscimento del genocidio tra le condizioni per l’ammissione della Turchia in Europa.

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