La Rivoluzione e la Reazione. Un uomo, un giorno, chiede uguaglianza e libertà. Altri uomini si uniscono alla causa. Ogni idea, anche la migliore, se condotta alle estreme conseguenze produce violenza. L'uomo giusto diventa un fanatico, a volte per insondabili tormenti interiori che infine esplodono. L'esasperazione conduce allo scontro. L'uomo giusto, per sovvertire l'ordine delle cose, si macchia di crimini orrendi. La reazione dei potenti non si fa attendere. Anche i potenti passano dalla restaurazione della legalità alla feroce repressione. Sangue chiama sangue. La lotta finisce. Fino a quando un altro uomo, un giorno, chiederà uguaglianza e libertà, risvegliando lo spirito della Rivoluzione e della Reazione.
Questo è il punto di vista di Éric Vuillard ne La guerra dei poveri (traduzione di Alberto Bracci Testasecca, edizioni e/o, pagg. 83, euro 9, in libreria dal 28 agosto). Vuillard ha vinto nel 2017 il Premio Goncourt con L'ordine del giorno (edizioni e/o), un esperimento coronato da successo: romanzare l'Anschluss senza personaggi di finzione, e addirittura senza un protagonista. La forza del libro è nello stile «ussaro» di Vuillard, in continuità non ideologica ma letteraria con il non-movimento apertamente reazionario di Roger Nimier, Jacques Laurent e Michel Déon. Il libro è tutto al presente indicativo per immergere totalmente il lettore nelle vicende. Un po' come al cinema quando il film è davvero bello. Ne L'ordine del giorno, Vuillard suggeriva inediti e provocatori accostamenti col presente, lasciando però al lettore la libertà di interpretarli. Gli stessi industriali, finanzieri e banchieri che un tempo coprirono Hitler di soldi, oggi tifano per l'immigrazione selvaggia. Come mai? Domanda interessante. Non sarà per avere manodopera a basso costo (schiavi senza lager)? Non sarà per abbattere le conquiste dei lavoratori occidentali?
La guerra dei poveri riprende il discorso sulla Storia. Questa volta però siamo nella Germania del predicatore Thomas Müntzer (1490-1525). Il prete, avido lettore della Bibbia, trova nei testi sacri una dottrina sociale in favore dei poveri e degli emarginati. Il suo seguito cresce come il suo progressivo fanatismo. Tutto è di tutti. I tiranni vanno abbattuti. Si firma «Il distruttore degli empi». Scoppiano disordini spontanei, che raggiungono anche l'Alto Adige. I nobili reagiscono e, dopo una serie di batoste, vincono la battaglia di Frankenhausen, combattuta il 14-15 maggio 1525, nella contea di Schwarzburg. Secondo la leggenda, Müntzer ottiene una morte poco onorevole. Fugge da Frankenhausen, si nasconde, viene scoperto e decapitato. La guerra dei poveri è finita ma Müntzer non è stato il primo e non sarà l'ultimo a guidare il popolo contro le élites. Vuillard ci porta nella Inghilterra del Medioevo dove sono accaduti fatti del tutto simili anche se meno noti.
La storia si ripete ma ogni volta aggiunge qualche dettaglio. La guerra dei poveri è emblematica per due motivi. Müntzer, attraverso la religione, passa dal sacro al politico. La protesta si intreccia alla storia della parola scritta. Müntzer chiede di tradurre la Bibbia e dire messa in tedesco, incontrando l'opposizione del Papa. Ma pochi anni prima è successo un fatto straordinario: il signor Gutenberg, orafo e tipografo, si è inventato la stampa moderna. Un formidabile strumento di distribuzione per la Bibbia in tedesco di Lutero, che inizia a lavorare alla traduzione proprio mentre Müntzer si mette alla testa dell'esercito di contadini. Tra parentesi, un documento poco conosciuto nella storia del Cristianesimo è il Libellus ad Leonem X (1513, quattro anni prima delle 95 tesi di Lutero). Autori, due monaci camaldolesi provenienti da Venezia, Paolo Giustiniani e Pietro Querini. Contenuto: una riforma della Chiesa, che prevedeva la traduzione della Bibbia nelle lingue volgari. Il Papa fece finta di nulla. Se avesse prestato ascolto, forse non ci sarebbe stata la Riforma luterana (e neanche Müntzer).
La guerra dei poveri, in Francia, è stato letto alla luce dell'attualità. La rivolta dell'uomo comune sarebbe paragonabile ai disordini scatenati dai gilet gialli. I lettori poi si sono divisi: per alcuni, Vuillard è troppo ideologico e interpreta la storia secondo la vecchia categoria della lotta di classe; per altri, rispecchia un desiderio di giustizia sociale connaturato all'uomo. Come stanno le cose?
Il libro non è a tema ma mette nel piatto molti temi. Nel mare di romanzi inutili o perfino dannosi per l'intelligenza, è un'isola del tesoro.
La Rivoluzione e la Reazione sono facce diverse della stessa medaglia, l'ossessione per la violenza? La Rivoluzione è stata «giacobina» fin dalla notte dei tempi? La Reazione è sempre stata repressione pura e semplice? La religione, trasformata in rivendicazione politica, conduce irrimediabilmente al fanatismo? Le nostre idee, all'apparenza razionali, nascono anche per motivazioni irrazionali e insondabili? E, per venire all'oggi: ha senso dividere il mondo in destra e sinistra? I gilet gialli, evocati da molti recensori francesi, sono di destra o di sinistra? Chi parla di lavoro e non di baggianate politicamente corrette, la destra o la sinistra? A ciascuno le sue risposte ma è importante che ci sia uno scrittore che pone vere domande.
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