Willie, un frate detective nel convento dei misteri

Il caso dell’«Arancia meccanica di Belmonte» risolto da un monaco grazie alla tecnologia. E agli insegnamenti di San Francesco sul «linguaggio degli uccelli»

«La Natura è un grande libro, ragazzo» disse l’uomo, un frate alto, anziano, ma ancora atletico, al suo accompagnatore. «Ha i suoi linguaggi. Bisogna interpretarli. Tutto qui». Fogliame e minute scaglie di granito rosato (la montagna, punteggiata qua e là dalle sabbionere, ampi calanchi polverosi, era per lo più costituita da questo minerale) scricchiolavano sotto i sandali del religioso. Che, però, di francescano avevano ben poco. Sofisticate Mephisto, air-bag shock absorber, calzature adatte alle camminate lunghe, rapide: defatigavano talloni e caviglie, lasciando sul terreno tracce impercettibili.
Il novizio arrancava, sudando: il sole di fine agosto, al tramonto, ammantando di taglio la facciata del santuario-convento di Belmonte, inondava ancora la Cappella della Samaritana, che un tempo accoglieva le statue in scagliola di Gesù al pozzo di Sichem e della donna con la brocca, ma che adesso era spoglia, penosa discarica di carte, lattine, bottiglie di birra, resti di bivacco di devoti distratti.
«Camminiamo da ore, maestro...» piagnucolò Osdo di Perth, il giovane. William di Haddigton, scozzese taciturno e severo, professore emerito di teologia a Edimburgo, seguace di Aristotele e detective esperto di tecniche deduttive, non rispose. Fulminò Osdo con un’occhiata di ghiaccio azzurro e appoggiò alle labbra l’indice ossuto, intimando il silenzio. Ma la sua faccia, incorniciata dalla corta barba grigia, si sciolse in un sorriso.
«Dobbiamo scoprire molte cose, figliolo» mormorò al compagno, deponendo sul davanzale della cappella la sua borsa di cuoio liso «e aver percorso a piedi il sentiero del Pellegrino, pregando, ci aiuterà a concentrarci sui dettagli. Quanti Piloni hai contato, con i Misteri del Rosario?» incalzò William, mai dimentico di essere il docente più severo e temuto della sua Facoltà.
«Quindici, maestro...» sospirò Osdo.
«Bene» rispose il francescano «al lavoro!».
Quattro confratelli erano stati quasi accoppati a colpi di spranga, nel refettorio del convento, qualche giorno prima. Padre Sergio, il guardiano, Salvatore, il decano, Martino, un missionario in visita dalla Bolivia, e fra’ Emmanuele, appena seduti davanti alla frugale cena di spinaci bolliti, erano stati abbattuti a bastonate da un commando di ignoti. Qualcuno coniò la sigla di «Arancia Meccanica a Belmonte». Mistero denso sui moventi.
«Non sono affar nostro» disse William, seguendo a voce alta il filo del ragionamento, mentre dalla sua sacca da viaggio estraeva un Toshiba Satellite, notebook a prestazioni estreme, accendendone il monitor e cominciando a digitare sulla tastiera. «Siamo qui per stabilire chi è stato. Punto e basta. Vedi ragazzo» proseguì l’uomo «il tempo è come un immenso rullo intonso da sismografo. Gli eventi ne sono gli infiniti pennini: tutto lascia una traccia. Il nostro compito è decifrare i segni».
Con un cenno, William invitò Osdo a osservare l’immagine sul display del portatile. «Questo è un ramo spezzato» spiegò, definendo con il puntatore del mouse i contorni sfrangiati di una rudimentale mazza, rinvenuta sul luogo del crimine, e di cui William si era fatto spedire per e-mail una foto ad alta definizione. Il programma grafico del computer aveva generato un modello algoritmico della sfrangiatura. «Ecco una foto satellitare del bosco intorno al Santuario di Belmonte» commentò il francescano, mutando schermata «ripresa verso le venti e trenta di martedì. Grazie all’ora legale, c’era ancora abbastanza luce. La fortuna ci assiste, Osdo» continuò il detective col saio «il satellite Usa scatta immagini a un miliardo di byte per pollice quadrato. Vedremmo scintillare una goccia di sudore su una foglia, se ci fosse. Ma è sufficiente che il software ci indichi qual è l’albero da cui è stato strappato questo ramo».
Il Toshiba ronzava. I suoi sensori elettronici cercavano il negativo della sfrangiatura. «Eccolo!» mormorò William, senza alcuna emozione nella voce. «È una Populis Tremula. Un pioppo tremulo, una pianta comune di quest’area. Ricorderai, Osdo, che il nome degli alberi in latino è femminile, giusto?». Osdo deglutì, e fece un cenno di assenso.
In pochi minuti, i due furono sotto il grande albero, che ombreggiava la legnaia del convento. «Adesso un po’ di meteo» bisbigliò William. «Ecco le coordinate vento-umidità di martedì sera», soggiunse, studiando i dati a computer. Dalla magica sacca emerse uno strumento, dalla forma vagamente simile a un ventilatore portatile per cruscotto d’auto. «Questo wind-maker è programmabile» illustrò il maestro, impostando le cifre «riprodurrò la forza del vento che spirava in quel momento». Le palette del congegno, appoggiato sull’erba, frullarono, generando una brezza di 1,3 m/s. Gli steli, alla base dell’alto pioppo, si piegarono leggermente.
«Lo sospettavo» mormorò William, recuperando con una pinzetta da entomologo la carcassa di un insetto. «Pedasia Luteella» sentenziò il francescano, osservando il lepidottero con una lente «e non è qui per caso. È una specie che alligna solo nella nicchia ecologica dei Monti Pelati, a pochi chilometri da qui. E ci è arrivata sotto la scarpa di uno degli aggressori. Adesso possiamo suggerire alla Polizia italiana una direttrice di indagine».
«Torniamo a Cuorgnè, in albergo?» domandò Osdo, speranzoso.
«Non ancora» disse William sciogliendosi dai fianchi la corda francescana. Grappini di titanio facevano dell’umile corredo religioso una robustissima fune da arrampicata. In due bracciate, William fu tra le fronde del pioppo. «Un nido di zigolo giallo», disse. Del maestro, ora Osdo scorgeva solo le Mephisto spaziali. Ma ne udiva la voce imperiosa.
«Cerca nel Toshiba il file del linguaggio degli uccelli, Osdo, e fa’ presto. Questo zigolo uscirà a caccia, tra poco...». Al ragazzo pareva di sognare. Il linguaggio degli uccelli? Ma che cosa significava?
«Ho dimenticato di dirtelo, ragazzo» soggiunse William con una punta di impazienza nelle corde vocali «Tommaso da Celano non ci ha lasciato solo la biografia del nostro grande Padre, Francesco d’Assisi. Nella biblioteca di Cambridge c’è anche un’altra sua opera, nota solo a me, e a pochi altri. Il Vocabulario della Lengua degli Augelli, che il pio biografo apprese dalle labbra del Santo in persona. Ti ricordi che San Francesco dialogava con gli uccelli, vero? Hai letto con attenzione i Fioretti... Almeno, lo spero...». Con mani tremanti, Osdo porse la stampata con le informazioni. E percepì ciangottii, fruscìì, trilli delicati.


«Abbiamo l’identikit dei criminali, ragazzo» disse William lasciandosi cadere con movenza elastica dall’albero. «Ma sarà meglio non dichiarare la fonte ai nostri colleghi del Ris di Parma». Il sorriso del frate scintillava nell’aria ormai scura.

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