Caccia al tesoro dell'icona antimafia di Santoro e Ingroia

Caccia al tesoro dell'icona antimafia di Santoro e Ingroia

Finiscono in discarica i sogni di gloria e di impunità di Massimo Ciancimino. Seppelliti nella buca puzzolente di Glina a Bucarest, lo sversatoio più grande d'Europa controllato dalla società Ecorec Sa. Una gallina dalle uova d'oro che vale 115 milioni di euro per un fatturato annuo di 300 milioni, dietro cui si nasconderebbe una consistente parte del tesoro riciclato di don Vito, papà del teste-chiave (si fa per dire) della «trattativa». L'indagine della Procura di Roma, che ha portato alla perquisizione dell'icona antimafia by Ingroia, e all'iscrizione nel registro degli indagati dello stesso Massimino e di altre otto persone, ha mandato all'aria il piano di vendere la società rumena alla Ecovision International entro il 30 novembre 2012, per fare cassa e «ostacolare la ricostruzione della provenienza delittuosa del denaro investito». «È fatta, siamo apposto», dice Santa Sidoti, braccio destro di Ciancimino, congratulandosi con Sergio Pileri, presunto prestanome dopo la firma dell'atto di vendita. «È un miracolo», conferma ancora, ignorando di essere intercettata. «L'unico problema è se ci impediva questa cosa! Basta! Questa cosa ormai sta fatta», sottolinea lui, riferendosi a eventuali azioni di disturbo dell'autorità giudiziaria.
Tirano un sospiro di sollievo, i due, perché avevano rischiato grosso: la precedente inchiesta della procura di Palermo sulla pista rumena del tesoro di don Vito, dopo quattro anni, non era approdata a nulla e i pm l'anno scorso ne avevano chiesto l'archiviazione, bocciata però dal gip con l'ordine di continuare a cercare. Perché, in Romania o altrove, il tesoro c'è e bisogna trovarlo, aveva ragionato il giudice. Detto, fatto: poco tempo dopo, in Svizzera, i pm siciliani sequestrano 12 milioni di cui proprio Ciancimino aveva incautamente parlato al telefono con la moglie Carlotta. Briciole, rispetto al grande business dei rifiuti. Ma sufficienti a spingere Massimino, già nei guai per riciclaggio, a mettere subito le mani avanti: «Qualunque somma si dovesse trovare in Svizzera, Romania, e in qualunque altro posto che sia riconducibile a me la darò in beneficenza alle popolazioni dell'Emilia Romagna colpite dal terremoto e alle famiglie delle vittime della mafia». Per poi aggiungere: «Se questa fuga di notizie nasconde il tentativo da parte di qualche Procura o della Finanza di condizionare le mie dichiarazioni ai magistrati sulla trattativa, qualcuno ha fatto male i conti».
Dalle carte dell'inchiesta romana emerge chiaramente che quelli della combriccola avevano fretta di chiudere subito l'affare prima che un'eventuale nuova offensiva giudiziaria bloccasse definitivamente l'operazione: prima di accordarsi con la Ecovision, avevano tentato «con un fondo svizzero» e con la «holding statale cinese Genertec (China general technology holding group), con «partner in società belghe o partner slovacchi» e, «per un breve lasso di tempo», era stata avviata una sorta di trattativa con il «colosso italiano De Vizia trasfer spa e prima ancora direttamente con il Credit Suisse». Alla fine, la soluzione la trova Raffaele Valente, prestanome travestito da socio di maggioranza, coinvolgendo come finanziatori due imprenditori (anche loro indagati): il bancarottiere Gabrio Caraffini e Claudio Imbriani, natali napoletani e precedenti per associazione per delinquere e truffa. Un tipo onesto intellettualmente, almeno.

«Scusa, c'era bisogno che veniva uno dal Molise o da dove cazzo sono venuto io... per fare quello che chiunque avrebbe potuto fare, no?», si sfoga sincero. L'unico dalle parti della famiglia Ciancimino, da trent'anni a questa parte.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica