In cella Mandara, l'«Armani della mozzarella»

Amava definirsi l'«Armani della mozzarella». Giuseppe Mandara, per gli amici Peppino, 66 anni un'azienda leader nel settore lattiero-caseario noto non solo in Italia ma in gran parte delle «boutique» alimentari sparse nel mondo dei gourmandises adesso dovrà accontentarsi di un menù ben meno raffinato. Quello del carcere. Da dividere magari con gli amici mafiosi. Eh sì: secondo la Dia, che ieri gli ha sequestrato un impero da 100 milioni di euro il re di mozzarella e formaggi sarebbe stato legato a filo doppio al clan dei Casalesi.
A carico di Mandara e di alcuni suoi collaboratori il gip di Napoli ha emesso una misura cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso, contestando anche reati in materia di tutela della salute pubblica. A quanto pare il «boss dei formaggi» avrebbe truffato anche prodotti caseari non Dop ma distribuiti e venduti come tali. In realtà normali provoloni- stando ai militari del Noe- venduti come «provoloni del Monaco», una specialità particolarmente pregiata e realizzata in qualità limitata, fatta con latte super selezionato e particolari lavorazioni.
Sequestrato il punto vendita adiacente lo stabilimento di Mondragone mentre i provvedimenti di chiusura non riguardano i negozi in franchising sparsi su tutto il territorio nazionale.
Costosi formaggi in vetrina confezionati, però, coi nastrini dei clan. Giuseppeo Mandara, già indagato senza successo negli anni scorsi, secondo le nuove accuse sarebbe stato vicino alla cosca dei «La Torre», contigua al clan dei Casalesi. Un contatto nato negli anni Ottanta, probabilmente per sopperire alle difficoltà economiche in cui, all'epoca, si trovava l'azienda. Lui era titolare di un caseificio in crisi, la «Ilc», per risollevarsi avrebbe chiesto e ottenuto dai vertici del clan camorristico dei La Torre, 700 milioni di lire. Somma che gli bastò per costruire una fortuna, trasformano l'azienda in uno dei più importanti caseifici della Campania. Nel 2003 la Ilc si trasformò in Spa cedendo il 49 per cento del pacchetto azionario alla «Alival», società toscana specializzata in prodotti caseari, le cui quote sono state sequestrate insieme a quelle (51 per cento) facenti capo a Mandara. Lui, ormai, forse solo un prestanome per un business finito nelle mani dei clan.
Al centro dell'inchiesta, i rapporti tra l'«Armani della bufala» ed elementi del famiglia La Torre di Mondragone, vincoli così stretti al punto che il titolare del gruppo avrebbe pure testimoniato il falso per il boss Augusto La Torre. Capoclan, che, dicono le indagini, era in realtà il suo socio occulto.
Mozzarelle vendute a peso d'oro, ma che non valevano tanta fama. Tutt'altro, almeno stando a quanto raccontano alcune intercettazioni. Una partita di «ciliegine di mozzarella» sarebbe stata piazzata sui banchi nonostante ci fossero finiti dentro frammenti di ceramica a causa della rottura di una macchina impastatrice. L'episodio risale all'agosto del 2008. Gli investigatori all'epoca intervennero notificando al caseificio un decreto di sequestro in modo da evitare, almeno in parte, che i prodotti «contaminati» finissero in tavola. I procuratore aggiunto della Dda Federico Cafiero De Raho spiega: «Avrebbero potuto danneggiare l'apparato digestivo».
Il trucco c'era, e si scopre adesso, pure sui mitici provoloni. Fu l'Alival a vendere i prodotti a una nota catena di supermercati. Quando seppero che stavano indagando gli investitafatori, Mandara e i suoi collaboratori si sarebbero fatti mandare indietro i formaggi mostrando poi ai militari del Noe fatture contraffatte. Per questa altra storiaccia sono stati arrestati con l'accusa di favoreggiamento due collaboratori di Mandara, Giovanni Divozzi, responsabile amministrativo della Ilc, e Luigia Letizia, addetta al controllo qualità.

La quarta persona finita in manette è Vincenzo Musella, factotum del capo, l'uomo al quale era affidato, in particolare- secondo l'accusa- il compito di pagare tangenti ai clan camorristici quando la Ilc vendeva i propri prodotti al di fuori di Mondragone. La mafia è servita, ma a tavola non c'è posto.

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