I buchi neri del caso Lavitola tra anomalie e strani pentiti

La competenza territoriale dubbia, gossip gratuito e intercettazioni a strascico Il metodo di Woodcock & C. non cambia: l’importante è tirare in ballo Berlusconi

I buchi neri del caso Lavitola  tra anomalie e strani pentiti

È il «metodo» che non ci piace. Quello che ha fatto, e fa (cattiva) scuola giudiziaria. Con intercettazioni gossip, chiacchiericcio a verbale, testimoni rancorosi, prosa disinibita di pm e gip (prima era Nicla, la moglie di Tarantini, oggi «è utile sapere che Karen è l’amante di Lavitola»), competenze territoriali fin troppo elastiche, galera preventiva a go go. È il metodo che riaffiora nell’inchiesta sul gatto De Gregorio e la volpe Lavitola. E, ieri come oggi, le sceneggiature investigative della procura di Napoli hanno un attore, non protagonista, che si guadagna le prime pagine: Silvio Berlusconi. Non solo intercettato e trascritto – da presidente del Consiglio – senza che vi sia alcun rilievo penale mentre è costretto a sorbirsi al cellulare il logorroico Lavitola, ma anche tirato in ballo da pentiti-indagati e umanità varia che lo usano come la certificazione Iso: prova di qualità.

PER SENTITO DIRE

Parli del Cav? Sei credibile. E giù racconti per sentito dire sull’ex premier. Che fu addirittura finanziatore di Bettino Craxi a Tunisi per il tramite del giovanissimo Valterino. Che a detta della sorella del giornalista latitante, per tenere nascosti chissà quali segreti, doveva sborsare 5 milioni di euro al fratellino. Che per qualche ora apre le porte della sua villa in Sardegna a un presidente (Martinelli) di uno stato straniero (Panama) al quale il giornalista, e non il premier, paga le vacanze per averne poi un tornaconto personale. Difficile capire cosa diavolo c’entri il Cav con la corruzione internazionale contestata dai pm napoletani a Lavitola pur essendo, il reato, commesso anche stavolta lontano da Napoli (ricordarsi i tentativi di estorsione a Berlusconi via Tarantini commessi a Roma). Anche allora l’ex premier sembrava estraneo ai fatti, una vittima. Tutti ricordano come andò a finire. Sarebbe stato allora più onesto sostenere che Lavitola approfitta dell’amicizia di Berlusconi per fare affari in Centroamerica sui quali, però, il Cav non mette becco e il ministro degli Esteri Franco Frattini e Gianni Letta, uomini a lui vicinissimi, si mettono di traverso (confrontare il verbale del primo, leggere le velenose parole di Valter sul secondo).

PENTITI «MONOTONI»

E come non addentrarsi sui «pentiti» che tirano in ballo non solo Berlusconi. Prendete Andrea Vetromile, commercialista e collaboratore del senatore De Gregorio. È indagato nel medesimo filone e inizia a collaborare quando i finanzieri gli hanno già perquisito lo studio. Corre in procura e, qualificandosi come uno che compilava le buste paga per il politico Pdl, si dice a conoscenza dei segreti dell’alta politica e del «passaggio lautamente remunerato» di De Gregorio a Forza Italia. Il virgolettato guadagna titoli e spazi nei quotidiani. Peccato che la medesima notizia di reato, giudiziariamente, è stata archiviata anni addietro col procedimento che vedeva indagati Berlusconi e De Gregorio. Perché allora tornare su un fatto già archiviato? Perché insistere su soldi misteriosi quando già il Riesame di Napoli, su un’altra questione, simile, nel 2010 ha negato la richiesta all’arresto di De Gregorio per reati di riciclaggio perché «priva di fondamento non sussistendo alcun indizio di colpevolezza». È normale sollecitare in questo modo le manette a un parlamentare? Nelle carte si stigmatizza la frequentazione di De Gregorio con appartenenti ai servizi segreti quando altri politici sono stati beccati con 007 e nessuno si è scandalizzato. È talmente torbido il collegamento con l’intelligence che si parla di un agente Sismi a stipendio del senatore per imprecisati «servigi».

LE ACCUSE A DE GREGORIO

Un teste-pentito fa un vago riferimento a un finanziamento non andato a buon fine ma pure questa storia è stata affrontata dalla magistratura, e anche questa, come l’altra, è finita archiviata. Il senatore De Gregorio non ci ispira particolare simpatia ma alla fine i fatti non sembrano dargli tutti torto. Il pentito Vetromile (amico di un imprenditore processato per camorra, e secondo De Gregorio teste di plastica per uscire dai guai) organizza un incontro-trappola per conto della Gdf alla segretaria di De Gregorio, che lo rifiuta. È creditore del parlamentare di una bella cifra. Dice che il politico ha investito in paesi dove, però, De Gregorio non ha mai messo piede. Per il gip, però, le sue dichiarazioni sono disinteressate. E resta a piede libero. De Gregorio collabora, rinuncia alle prerogative parlamentari, si fa perquisire ripetutamente l’ufficio, consegna carte su carte, risponde alle domande dei pm, il gip gliene rende conto ma alla fine anziché prendere atto che non è scappato e che non può inquinare le prove chiede ugualmente l’arresto. A casa, ai domiciliari però, non sia mai si ripeta la figuraccia fatta col parlamentare Alfonso Papa mandato in galera quando Riesame e Cassazione hanno sancito che non ci doveva andare.

IL VATICINIO DI GIGGETTO

Un altro pentito è Mauro Velocci, imprenditore, che si diverte a spifferare notizie ai giornalisti. Ha registrato, di nascosto, decine di conversazioni con testimoni e corre sempre a farle ascoltare ai pm.

Normale? Ed normale che un sindaco come Luigi De Magistris senta il bisogno di vaticinare «sviluppi importanti» dell’inchiesta? Che c’entra lui? Chi lo ha informato? Certamente non Piero Sagona, consulente di Woodcock in questa indagine, suo collaboratore con Genchi ai bei tempi di Catanzaro. Chi allora?

(ha collaborato Simone Di Meo)

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