Stessi vertici, nuovi equilibri. Migranti e green deal rivisti per calmare l'estrema destra

A Bruxelles le conferme di Metsola e von der Leyen. Ma la maggioranza dovrà tenere conto del responso delle urne. Le sfide di Cina e Russia, i nodi del voto Usa

Stessi vertici, nuovi equilibri. Migranti e green deal rivisti per calmare l'estrema destra

Non è il caso di farsi ingannare dal riproporsi di volti noti in posizioni di vertice dell'Unione: l'Europa che vedremo nella fase iniziale di questa legislatura non potrà che muoversi in modo nuovo.

Roberta Metsola alla presidenza dell'Europarlamento e (verosimilmente) Ursula von der Leyen a quella della Commissione Europea (il «governo di Bruxelles») rappresentano continuità personali, ma sono stavolta l'espressione di maggioranze politiche diverse rispetto al passato e saranno chiamate ad agire in un contesto geopolitico rivoluzionato da una serie di fattori di prima grandezza: la crescente sfida anche militare portata non solo all'Ucraina ma all'Occidente intero dalla Russia di Vladimir Putin, lo choc causato dalla nuova instabilità politica francese seguita ai risultati di due elezioni tenute in meno di un mese, lo sconvolgimento che potrà recare con sé il non improbabile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, l'avanzata elettorale delle destre e i nuovi equilibri a Bruxelles che ne conseguono sono solo alcuni esempi.

Ma basta pensare alla scelta di nominare l'ex premier estone Kaja Kallas al posto di alto rappresentante della politica estera dell'Ue (il «ministero degli Esteri di Bruxelles») nel ruolo che è stato di Josep Borrell per comprendere come il rapporto dell'Europa con Mosca sia profondamente cambiato nel senso della volontà di accettare la sfida anche valoriale che Putin ha lanciato aggredendo l'Ucraina nel febbraio di due anni fa: a confrontarsi con Putin ci sarà una donna che rappresenta non solo i timori dei Paesi orientali dell'Unione di subire analoghe aggressioni russe, ma una chiara visione politica, valida per tutti i Ventisette, di rifiuto alla condiscendenza verso un vicino aggressore. E che da questa visione discenderanno azioni concordate è un fatto profondamente nuovo.

Alla base dei cambiamenti nell'azione dell'istituzione Ue ci sono, naturalmente, i risultati delle elezioni dello scorso 9 giugno. Al di là della propaganda delle parti politiche, essi hanno portato fondamentalmente una conferma e una novità. La prima è quella del sostegno maggioritario degli europei a un'alleanza di centrosinistra (popolari, socialisti e liberali). La seconda consiste nella già citata avanzata di partiti e movimenti nazionalisti e populisti di destra, che segnala in qualche modo una rivolta nei confronti di alcuni capisaldi delle politiche comunitarie: quella che è stata efficacemente definita come «la rivolta dei penultimi». Ovvero, il fenomeno politico, in forma di onda lunga, del progressivo passaggio a destra di ceti medi e bassi che in buona parte votavano a sinistra e che si sono visti scavalcare nelle attenzioni delle leadership di sinistra da nuovi «ultimi» di cui prendere le difese: immigrati extraeuropei, minoranze sessuali e culturali, vittime più o meno presunte del cambiamento climatico. Questa onda di destra popolare è composta da persone che non hanno trovato ascolto nemmeno al centro, sicché le loro «istanze d'inclusione» vengono portate avanti da movimenti estremisti o antisistema.

È questa una novità rivoluzionaria, la cui portata è poco compresa e accettata negli ambienti di sinistra e che può portare a due diversi tipi di reazione da parte di quella che rimane comunque la maggioranza a Bruxelles: chiudersi a riccio formando un cordone sanitario che liquidi le destre come fascisti impresentabili, oppure cercare un compromesso con la parte più moderata di esse.

E ciò sia allo scopo immediato di evitare che la maggioranza uscente si ritrovi in minoranza al momento di scegliere il vertice della Commissione, sia a quello di più lungo termine di tagliare l'erba sotto i piedi di un estremismo con il vento in poppa. Tale ricerca è il senso dei difficili negoziati che Ursula von der Leyen ha condotto con Giorgia Meloni e il suo gruppo dei Conservatori Europei (Ecr). Lavoro politico non facile, ma che potrà essere alla base di cambiamenti importanti a Bruxelles: le contropartite che i conservatori si aspettano in cambio del loro sostegno alla riconferma della Von der Leyen sono infatti di sostanza e riguardano temi centrali come la gestione dell'immigrazione e la messa in discussione del totem ambientalista del Green Deal.

Nel cercare di prevedere come si caratterizzerà la nuova Europa, bisogna poi tener conto di fattori contingenti come la presidenza di turno ungherese. La spregiudicata azione di Viktor Orbàn, che cerca di porsi in modo sempre più esplicito come l'alfiere di un'Unione che si allinea in anticipo alle politiche trumpiane soprattutto nel rapporto con Russia e Ucraina, sta costringendo le cancellerie europee a opporglisi in modo drastico : a nome di Bruxelles lo ha appena fatto il presidente uscente del Consiglio Europeo Charles Michel che ieri in una lettera aperta all'uomo forte di Budapest gli ha ricordato che «la posizione dell'Ue sull'Ucraina è stata concordata all'unanimità dal Consiglio europeo ed è stata confermata l'ultima volta a giugno» e che «la via più diretta verso la pace è che la Russia ritiri tutte le sue forze dall'Ucraina e rispetti l'integrità territoriale dell'Ucraina e la Carta delle Nazioni Unite». Ma è chiaro che dalla nettezza con cui la linea di sostegno a Kiev sarà mantenuta di fronte a sfide come questa si potrà giudicare una effettiva continuità politica.

Nello scorso aprile, Mario Draghi aveva cercato di dare all'Europa una scossa proponendo parole del suo discorso tenuto allora all'Europarlamento un cambiamento radicale, la necessità di reinventarsi, superando antiche divisioni, per rispondere alle sfide «del mondo di oggi e di domani». Sfide che vengono dalla Cina e dalla Russia, ma anche dagli Stati Uniti. Punto centrale del suo intervento era stato il forte invito alla coesione politica, a una presa di coscienza della necessità storica di cominciare a contare in quanto Unione. Si era parlato di Draghi come di un possibile candidato sopra le parti politiche a succedere alla Von der Leyen, ma questa prospettiva è svanita. La sfida che arriva dai risorgenti nazionalismi europei contiene in fondo anche il rifiuto di quella consapevolezza e di quella risposta storica.

Non sappiamo se l'Europa che vedremo da oggi in avanti riuscirà a tenere la barra dritta, ma certamente un volto «vecchio» come la presidente uscente della Commissione avrà come primo compito quello di guidare in un contesto complesso, anche grazie a non facili compromessi politici - un'Europa davvero nuova.

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