In genere gli attori fanno molta retorica su quello che un personaggio avrebbe insegnato loro. Appare invece realmente toccata, Maria Grazia Cucinotta, quando parla di quel che ha imparato grazie a Il meglio di te: il film con cui, accanto a Vincent Riotta e per la regia di Fabrizio Maria Cortese, dopo quasi quindici anni di assenza è tornata al suo mestiere di attrice. «Questo film ha significato per me un vero percorso di crescita racconta - Quando sono tornata a casa ero, in qualche modo, molto cambiata». Prodotto da Rai Cinema con Orange, Golden Hour e Sirio, e brevemente uscito nelle sale, mercoledì 3 aprile su Raiuno Il meglio di te tratterà infatti un tema che, se non banalizzato, rappresenta un tabù scomodo e provocatorio. Il perdono.
Perché dice che questo film l'ha cambiata?
«Alla mia età, 55 anni, non si girano più film per dimostrare qualcosa. Ma solo se rappresentano qualcosa. Sarà che questa storia smuoveva sentimenti che tutti proviamo; sarà il quasi totale isolamento in cui l'abbiamo girato, favorendo l'immedesimazione... Ho finito per mescolare me stessa al mio ruolo».
In che modo?
«La protagonista Nicole, tradita dal marito, l'ha abbandonato cancellando tutto il suo passato con lui, e si è ricostruita una vita, apparentemente felice, accanto ad un altro uomo. Finché una malattia incurabile del suo ex la costringe a tornare. Allora comincia per lei un doloroso percorso di consapevolezza. Capisce che il rancore è una prigione che ci illude di farci sentire forti, mentre al contrario ci rende deboli, e infelici. Che perdonare il marito può ridare la felicità a lui, ma anche a lei. Credo che in un momento come questo ci sia bisogno di film così. Se perdoni non devi sentirti un perdente, ma un vincente».
Cosa succede a Nicole, quando lo capisce?
«Si sente morire, paradossalmente. Comprende che ha sbagliato tutto, che tutta la sua vita è rimessa in gioco, che deve chiedere scusa a tutti coloro che ha fatto soffrire. A cominciare da se stessa. Il meglio di te è un film di grandi percorsi emotivi e psicologici, mi ha coinvolto enormemente».
A lei è mai capitato di trovarsi davanti al bivio se perdonare o continuare ad odiare?
«All'inizio del film ero come Nicole. Terminate le riprese, invece, ho fatto tante telefonate, riannodato tanti fili. L'odio rende solo infelici. Il perdono ridà la vita. Certo: a determinate condizioni. Da anni, con la mia onlus Vite senza paura mi occupo di violenza. Si può perdonare, ma quando ci sono rispetto e amore vero».
Perché per quindici anni è rimasta lontana dagli schermi?
«Perché stavo dietro. Ho lavorato come produttrice, ho fatto su e giù con la Cina, per progetti come la promozione del cinema italiano, e la regia di un documentario per il governo di Pechino.
Quest'anno sono trent'anni dall'uscita de Il postino di Troisi, che mi lanciò. Ancora oggi si studia in tutte le università del mondo; solo una settimana fa una scuola olandese mi ha cercato dopo averlo visto. È un film speciale. E i film speciali non hanno età. Durano per sempre».
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