
Quando i vertici dell'Associazione nazionale magistrati si presentarono a Palazzo Chigi con una vistosa coccarda tricolore sul bavero come gesto di ribellione verso la riforma della giustizia, lo fecero non sulla base di una decisione ufficiale ma dopo una discussione ristretta sulla chat di alcuni di loro. Allo stesso modo, tutte le prese di posizione più importanti compiute dall'Anm in queste settimane sono state prese violando lo statuto della stessa Anm, scavalcando il direttivo centrale che ne è l'unico organo deliberante. E che è stato avvisato a cose fatte (e a volte nemmeno).
È quanto si legge in un documento che la dirigenza ristretta dell'Anm ha rifiutato di discutere nel corso dell'ultima riunione del Cdc, il direttivo nazionale dell'organizzazione, rinviandone l'esame alla prossima seduta (prevista per il 23 maggio). Si tratta di un ordine del giorno presentato dal pubblico ministero milanese Stefano Ammendola, che scoperchia pubblicamente una prassi costante di violazione delle regole: tanto più grave se avviene da parte di professionisti della giustizia, che del rispetto delle regole dovrebbero essere i custodi più ferrei. Così non è, a quanto pare: Ammendola sottolinea che solo il Cdc è «organo deliberante permanente su tutto quello che compete all'azione associativa Anm», mentre alla Giunta viene lasciata solo la facoltà di «adottare, in caso di assoluta urgenza provvedimenti immediatamente esecutivi, da comunicare subito ai componenti del Cdc e da sottoporre alla ratifica del Cdc stesso nella prima seduta successiva». Nulla di questo è accaduto. Ammendola cita il comunicato firmato Anm sulla condanna del sottosegretario Andrea Delmastro (sbilanciato a tutela dei giudici che avevano condannato l'esponente governativo) e il verbale della Giunta che stabiliva gli otto punti da sottoporre al premier Giorgia Meloni: «su questo tema dobbiamo avere una motivazione sull'assoluta urgenza che non poteva evidentemente esserci per l'incontro del 5 marzo sulla riforma che era già noto durante il Cdc del 9 febbraio».
La violazione delle regole statutarie dell'Anm si trascina da tempo (e infatti all'ordine del giorno del pm milanese qualcuno ha risposto «si è fatto sempre così»), ma la gestione oligarchica del sindacato delle toghe diventa più vistosa nel momento in cui la giunta esecutiva punta allo scontro frontale col governo. A parlare per tutti i magistrati sono di fatto solo i «duri» della sinistra, come il segretario Rocco Maruotti.
Che sulle chat di categoria è stato criticato per avere trasformato la sua relazione all'ultimo direttivo in una intemerata contro la legge governativa sulla sicurezza: anche questa, non concordata con nessuno, ma passata all'esterno come linea ufficiale dell'Anm.
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