17 Marzo, ora sono tutti patrioti Ma prima snobbavano il tricolore

Adesso sono diventati tutti patrioti, ma prima dov'erano? Speriamo resti qualcosa, dopo i festeggiamenti

17 Marzo, ora sono tutti patrioti 
Ma prima snobbavano il tricolore

Scusatemi, ma non ce la faccio. Ho letto con attenzio­ne, e con un vago senso di col­pa, gli editoriali che celebra­vano il «nuovo patriottismo» ( Sole 24 Ore ), il «patriottismo mite» ( Corriere della Sera ), la «festa del popolo» ( Repubbli­ca ), «il grande giorno del Tri­colore » ( Messaggero), ma non sono riuscito a sentirmi patriottico nemmeno un po’. Ci ho provato, lo giuro. Ma non ce l’hofatta.È più forte di me. Ho letto anche l’articolo, come al solito scritto da mae­stro, con cuore e sincero sen­timento dal nostro Cristiano Gatti. E qui il mio senso di col­pa si è ingigantito.

Lui dice che avrebbe voluto lasciare la bandiera italiana alla fine­stra ancora un po’. Pensate che io, invece, quando giove­dì mattina ho visto che i miei figli l’avevano messa fuori, a mia insaputa,ho avuto l’istin­to di toglierla. Ancor prima che la festa cominciasse, capi­te? Mi sono fermato appena in tempo, prima di compiere il gesto crudele e inconsulto. Ma mi resta il vago senso di nausea per l’eccesso di pa­triottismo che ci stanno ser­vendo. E mi domando: ma tutti questi appassionati di tri­colore, fino all’altro ieri, dove diavolo si nascondevano? Lo dico, sia chiaro, senza alcun intento polemico, perché mi rendo conto che in questi giorni dobbiamo essere uniti e felici. Lo dico solo per cerca­re di smorzare un po’ il mio senso di colpa: in fondo, se faccio così fatica a celebrare il «nuovo patriottismo» è per­ché nessuno me lo ha inculca­to.

Anche il presidente Napo­l­itano, per dire, adesso è tutto per il tricolore. Ma fino a qual­che anno fa, se non sbaglio, del bianco e del verde faceva a meno volentieri. Ricordate? Se ripenso alle feste per celebrare l’Italia del passato, mi viene in mente il 25 aprile. Si parlava di Resi­stenza, di antifascismo, di de­mocrazia. Mai di patria. Quando andavo a scuola, c’erano i partigiani che veni­vano a parlare in classe. (An­zi, i comandanti partigiani. Tanto che io crescevo e mi chiedevo: ma com’è che ’sti partigiani erano tutti coman­danti? Un soldato semplice non ce l’avevano?). Ebbene: non si vedevano bandiere ita­liane, al massimo bandiere rosse. Mai nessuno di loro che cantasse l’inno, al massi­mo Bella ciao . Adesso che ci rifletto: alle elementari ricor­do di aver imparato canzonci­ne di tutti i generi: per Natale, per Pasqua, per la festa della mamma, per la festa del pa­pà.

Mai una volta che si can­tasse Mameli, nemmeno per sbaglio. La prima volta che ho senti­to forte l’esigenza di una ban­diera italiana è stato l’11 lu­glio 1982, il giorno della vitto­ria del Mundial spagnolo, quello di Tardelli e Paolo Ros­si. Ci sentimmo tutti italiani, allora. Ma eravamo così sprovvisti di tricolori che ri­cordo che mia madre me ne dovette improvvisare uno an­nodando indumenti presi a caso dall’armadio, sull’onda dell’euforia da campioni del mondo: il verde era una ma­glietta, il bianco il fazzoletto, il rosso un costume da ba­gno. Ci fece ridere assai. Og­gi, forse, qualcuno lo riterreb­be un sacrilegio. Allora non c’era sacrilegio, e non c’era retorica. La prima volta che sono entrato a Tori­no i miei genitori mi fecero ve­dere la monorotaia di Italia ’61. Per molti anni pensai che Italia ’61 fosse stata inventata per costruire la monorotaia, che mi sembrava una specie di giostra per adulti, appena un po’ più noiosa dell’ottovo­lante. E non riuscivo a capire che bisogno ci fosse d’inven­tarsi la storia della celebrazio­ne per inaugurare una nuova attrazione.

Nessuno mi ha mai spiega­to bene le ragioni di Italia ’61 e delle sue feste. In fondo è stato a lungo vietato dirsi pa­triottici. Era una specie di in­sulto. Il Paese è stato sempre immerso in due culture, quel­la cattolica e quella comuni­sta, entrambe fiere avversa­rie della Nazione. Del resto, si sa: i comunisti inseguivano l’Internazionale operaia, i cattolici l’Internazionale del paradiso. A scuola chi avesse portato una coccarda bianco­rossoverde, come quelle che ieri avevano tutti in tv, finiva subito bollato come fascista. Ma anche fra i miei amici del­la parrocchia, ragazzi del­l’oratorio, non c’era grande passione per l’Italia: si guar­dava alle missioni, all’Africa, al Centramerica, mai al trico­lore. La Chiesa è cattolica, ap­punto, cioè universale, si di­ceva: mica può perdersi nel cortile di casa.

Adesso mi fa piacere leggere del cardinal Bagnasco in versione risorgi­mentale, mi bevo con gioia gli editoriali di Avvenire sul contributo dei cattolici al­l’identità nazionale. E un po’ dispiaciuto mi chiedo: acci­denti, non potevate spiegar­melo prima? Magari, ecco, se me l’ave­ste spiegato prima oggi riusci­rei a sentirmi un po’ più pa­triottico anch’io. Riuscirei so­prattutto a commuovermi leggendo certi editoriali. In­vece nulla. Continuo a cerca­re nella memoria. E ricordo che l’unica volta che sentivo un po’ di sana retorica sul­l’Italia era quando mio padre mi portava al torneo di bocce degli alpini. A un certo punto i veci col cappello tiravano fuori la pinta di Barbera e can­tavano l’inno. Ma lo faceva­no di nascosto, quasi vergo­gnandosi. Così intere genera­zioni di italiani sono cresciuti pensando che le vere feste dell’unità fossero quelle con Napolitano e le bandiere ros­se.

Adesso scopriamo che la festa dell’Unità si fa con Na­politano e le bandiere tricolo­ri. Benissimo, per carità: que­sta abbuffata di patriottismo è assai onorevole. Ma mi do­mando: dopo tanto digiuno non farà male? E soprattutto: ci lascerà qualcosa di concre­to, oltre al senso di nausea?

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