«1984», il vero Grande Fratello con brividi e un tocco di musical

Alla Scala successo di Maazel che rilegge il classico di Orwell. Sonorità e allestimento magistrali. Ottimi Tovei e la Gustavson

da Milano

È dovunque e ci spia, il Grande Fratello, quello vero, del romanzo di Orwell che cominciò a turbare il mondo dal 1948 e ancora ci spaventa. È il Potere che ci ruba ogni spazio, ci contorna di falsi amici, ci piega al suo volere e alla sua logica e alla fine addirittura sembra farsi amare. Lorin Maazel, direttore d'orchestra dall'orecchio leggendario e uomo colto, ha sentito, arrivato all'ottantina, di conoscere abbastanza i linguaggi e i segreti di tutti gli strumenti per trasformare quella parabola in un'opera, intitolata come il romanzo, 1984; che ha debuttato contrastata a Londra nel 2005 e l'altra sera è stata accolta, con successo crescente lungo gli atti, al Teatro alla Scala.
L'azione è svolta con una sapiente distribuzione di momenti intimi, di esplosioni corali, di temi conduttori che si richiamano e si incrociano: quanto al canto però sembra piuttosto combinata secondo la ricetta del melodramma verista: i personaggi stessi esprimono pensieri e sentimenti in arie, duetti, recitativi e pezzi d'insieme, facendo scorrere parole come le declamassero, l'orchestra le accompagna, le sostiene, le intrica; quando ci sono catastrofi in vista, dalla sala arrivano rumori spaventosi e pur disciplinati in una civiltà musicale controllata. Nel canto il modello è in qualche modo Leonard Bernstein, soprattutto nella parte delle illusioni amorose, dove ci sentiamo a un pelo dal musical, anche se la melodia tende a ripiegarsi in intervalli calcolati più che spiccare il volo e se il libretto di McClatchy e Meehan ristagna in una fedeltà prolissa; è però tesa, avveduta e sincera.
Invece, nella strumentazione ci viene sciorinata una ricchezza imprendibile di sonorità affascinanti eseguite magistralmente. Certo, se Maazel direttore avesse provato qualche mese fa la Traviata con la cura con cui deve aver concertato questa sua partitura, avrebbe evitato una figura imbarazzante. Qui l'orchestra e i cori, preparati da Casoni e da Caiani, sono straordinari. 1984 mi sembra piuttosto la memore testimonianza di un artista che ha vissuto di persona la musica del Novecento ed è capace di riproporla a suo modo, che non un'invenzione che rappresenti il teatro d'opera d'oggi. Certo, se tutte le opere nuove fossero rappresentate a questo livello, la loro sorte sarebbe migliore. Perché anche l'allestimento è magistrale: costruito su girevoli con costruzioni metalliche che si aprono e chiudono a vista, con l'azione spesso su due piani, offre l'immagine d'un mondo rovinosamente destinato alla perdita dell'arte e della natura; e si vive all'inizio con angoscia e anche un brivido da spettacolo un'impiccagione con corda fatta pendere da altezza immisurabile, ma alla fine davanti alla macchina delle torture e le stanze con topi incorporati si vive con angoscia che promette incubi futuri.


Nelle scene di Carl Fillion (costumi eloquentissimi di Yasmima Giguère, luci inquietanti di Michel Beaulieu), il regista Robert Lepage guida però anche con molta proprietà gli interpreti, che cantano benissimo e con molta pertinenza: il convincentissimo protagonista Julian Tovei, Nancy Gustavson, Jeremy White, e tutti gli altri, tra cui spicca per spericolatezza vocale e comicità disperata, in una doppia parte, Iride Martinez. Ogni tanto l'azione si blocca e la voce perfetta di Jeremy Irons dà notizie sulle colossali vittorie del Grande Fratello; e ogni volta tiriamo un respiro di sollievo al pensiero che no, per ora almeno, non è vero.

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