“Non mi dimetto da generale”. Vannacci manda in tilt la sinistra

L'eurodeputato leghista scrive una lettera al Corriere della Sera: "Nessuna legge mi impone di dimmettermi dall'Esercito". Poi rivela: "Un giorno potrei tornare al servizio militare"

“Non mi dimetto da generale”. Vannacci manda in tilt la sinistra
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Nessuna incompatibilità. Tra il ruolo nell’Esercito italiano e il nuovo incarico politico di eurodeputato leghista, Roberto Vannacci non vuole scegliere né ora né in futuro. Dopo i continui attacchi della sinistra nostrana e le costanti frecciate delle firme progressiste, il generale prestato alla politica prende carta e penna e invia una lettera al Corriere della Sera per chiarire, forse una volta per tutte, la sua posizione tutt'altro che ambigua.

“Dopo un’attenta lettura del suo articolo chiarisco da subito che il mio impegno per la Patria e per i valori costituzionali non è mai venuto meno”, esordisce Vannacci citando l’articolo del giornalista Carlo Verdelli comparso sulle colonne del Corriere. Le accuse dell’editoriale targato Verdelli, come del resto quelle che arrivano dai banchi dell’opposizione, sono sempre le stesse: a finire sotto accusa è la presunta incompatibilità tra i due ruoli ricoperti da Vannacci, generale da un lato e deputato dall’altro. “In merito al suo suggerimento di dimettermi dall’Esercito, preciso che nessuna legge o normativa mi impone di farlo”, risponde con dovizia di particolari il generale. Che poi aggiunge: “Non mi risulta, peraltro che, in passato, siano state richieste le dimissioni di altri militari o magistrati che hanno espresso pubblicamente le loro idee o che hanno partecipato attivamente alla vita politica del Paese”.

Un doppiopesismo tanto evidente quanto preoccupante che, però, a meno di ulteriori sviluppi, non ha mai toccato la narrazione preparata ad hoc dalla gauche. “Il suo consiglio – ribadisce Vannacci nella missiva - appare quindi privo di fondamento sia per normativa che per storia. L’ordinamento vigente, infatti, prevede che sia i militari che i magistrati possano partecipare alla vita politica e descrive le modalità e le procedure peculiari affinché ciò possa avvenire”. Senza dimenticare, ovviamente, di fare luce sulla sua intenzione di non sottrarsi minimamente ai suoi doveri istituzionali:“Vorrei inoltre rassicurarla che le mie dichiarazioni e, soprattutto, le mie azioni sono sempre state conformi ai miei doveri istituzionali e alle leggi dello Stato”, Infatti, continua, “tutti i giudici richiesti di vagliare le mie condotte hanno finora sempre confermato la correttezza del mio operato. Ora il mio servizio alla Patria continua con una veste diversa: seguiterò a promuovere e difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia, della giustizia e della libera espressione del pensiero”.

L’apparente inconciliabilità tra i due ruoli ricoperti dal deputato del Carraccio continua a fare acqua da tutte le parti. Anche e soprattutto se, come fa lo stesso Vannacci, si vanno a ripescare alcune esperienze simili del passato. “Pretendere che un politico debba essere esclusivamente un politico, privo di esperienze in altri campi e incapace di tornare a tali attività, imporrebbe forti limitazioni partecipative alla vita pubblica del Paese a chi ha scelto la professione di militare, di professore o di magistrato”, spiega Vannacci.

Poi, a stretto giro, rivela: “Non è improbabile che un giorno io possa tornare al servizio militare attivo — come fece Cincinnato tornando alle sue terre”. Una possibilità tutt’altro che illegittima ma che, come spesso accadde, farebbe gridare la sinistra al pericolo di una imminente torsione autoritaria.

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